Articolo di Ferdinando Tricarico Una foto al mese in mostra è il titolo della rassegna che si tiene nella casa-atelier Tribunali 138 di Luciano Ferrara. Uno spazio per la fotografia, residenza d’artista e aperto alla città, nel quale si può vedere, acquistare, promuovere e sperimentare modalità comuni di fruizione dell’arte, di contaminazione di esperienze e di creazione di progetti. Accolto da Sofia, l’anfitrione e sodale di Luciano in questa impresa, ho potuto attraversare gli spazi della casa: accoglienti e caldi, un itinerario di memorie storiche. Foto, libri, volantini, video, materiali di ogni tipo, che testimoniano il quarantennale lavoro di documentazione e controinformazione di Ferrara, tra i più significativi fotoreporter italiani, che è stato occhio militante dei movimenti politici, sociali e culturali che hanno infiammato la storia del secondo Novecento. Tra le tante fotografie, dagli anni ’70 ad oggi, di piazze tumultuose e di scenari infuocati italiani ed internazionali, fanno capolino immagini del costume e dell’arte, con un Pino Daniele giovanissimo in sala di registrazione, un Keith Haring che dipinge sul corpo di un giovane napoletano, un Maradona ricciolo e funambolo. La foto della collezione privata di Luciano in mostra la sera del 28 gennaio con la didascalia “campo di rifugiati frontiera Laos/Cambogia” è di Mario Dondero, padre del fotogiornalismo italiano, che ha lavorato per Paese Sera, il Manifesto, la Repubblica, Epoca, L’Espresso come inviato di guerra. Mario Dondero non ha potuto raggiungerci, come previsto, per un improvviso malanno da 87enne dalla vita tosta, ed è Luciano a raccontare della sua salute e a intrattenerci sul suo lavoro. Ed è con lui, più giovane (1950) e comunque di quella importante scuola, che improvviso una conversazione. Dove sta andando il fotogiornalismo? La ricerca esasperata del sensazionalismo sembra essere la cifra unica del nuovo fotogiornalismo, se ancora ha un senso parlare dell’attività di fotoreporter oggi. Molto spesso si tratta di foto-fiction costruite per produrre reazioni emozionali spropositate, in una rincorsa senza fine, che porta solo ad omologare l’immagine e a renderla sempre più depotenziata di contenuto reale. Nel film Lo sciacallo il parossismo voyeuristico macabro viene portato alle estreme conseguenze, il protagonista si improvvisa video-reporter, perché scopre che, se si è spregiudicati al punto da assecondare le richieste dei mass media e gli istinti più primordiali del pubblico, si possono ottenere fama e denaro. Sì. In quel film la guerra venale tra media spietati e fotoreporter improvvisati e precari, il parossismo emotivo del telespettatore e la mancanza assoluta di etica, sono portati alle estreme conseguenze, e ci dicono qualcosa di operante della tendenza attuale. Ormai non si cerca la foto-notizia ma la si costruisce, ed è quella che il direttore del giornale o della televisione o sempre più della comunicazione online vogliono che sia in relazione a potenziali target ed audience. Tutti, consapevolmente o inconsapevolmente, ormai si uniformano. Che impatto hanno avuto l’esplosione delle nuove tecnologie sull’immagine? Le bacheche dei social network sono invase di foto personali, dal selfie (lo specchio di Narciso di massa) alle festicciole con amici, è un unico grande frullatore iconico di un quotidiano anonimo spettacolarizzato. Molti anni fa semplicemente guardando uno scatto avrei saputo dirti chi ne fosse l’autore, l’identità fotografica era fortissima. Eravamo anche in pochi. Oggi, ovunque tu vada, ci sono decine di fotografi, professionisti e non, dalle troupe agli smartfonisti. Del resto, ormai, l’immagine è un’ossessione, sembra che un fatto accada soltanto se ne compare testimonianza visiva in qualche social. Il mio lavoro, nonostante l’impegno di alcuni della nuova generazione di fotografi, non esiste più. Nel mio lavoro di docente dell’Accademia di Belle Arti tento di trasferire non solo tecniche, e in particolare quelle “artigianali” che solo apparentemente la rivoluzione digitale ha reso desuete, ma, per quel che posso, amore per la ricerca libera e riflessione sull’etica professionale. Pensi che in qualche modo si possa invertire la rotta? Mi ricordo di una bella frase di Shakespeare che dice “l’uomo vede ciò che sa”. Penso che si debba rimettere al centro l’etica e lo studio perché l’occhio reimpari a discernere e a vedere, penso che l’orgia visiva terminerà quando sarà evidente a tutti che la realtà è altrove, nella carne viva delle persone e non nella loro immagine riflessa. Il mio occhio ha visto in questi anni ciò che la mia formazione politica, culturale e civile gli ha consentito di cogliere. A fine serata, Tribunali 138 invita gli ospiti ad una cena di autofinanziamento dello spazio. Inoltre la serata è stata sostenuta dalle prelibatezze di Leopoldo e i vini di Mustilli Wine. E si continua a parlare di nuove idee e progetti da realizzare in questo spazio stimolante ed importante nel ventre di Napoli. Per approfondire visita la pagina Facebook di Tribunali 138: https://www.facebook.com/Tribunali-138