Tanzio da Varallo incontra Caravaggio: nuova luce sul Barocco Napoletano Giordano Mare Aldo Saulino 11 Novembre 2014 News Quest’articolo comincia con una captatio benevolentiae. La mostra Tanzio da Varallo incontra Caravaggio illustra i risultati di oltre quattordici anni di studi di Maria Cristina Terzaghi, storica dell’arte e ricercatrice dell’Università Roma Tre, sui profondi rapporti e i proficui scambi intessuti tra artisti lombardi, napoletani e fiamminghi nel grande crogiolo di Roma durante gli ultimi anni dello strapotere politico e socio-culturale del dominio spagnolo in Italia e in Europa (i primi tre decenni del Seicento); strapotere la cui influenza raggiunge il suo “canto del cigno” col famoso primo viaggio in Italia di Diego Velàzquez (1629-31). Inaugurata il 23 ottobre nelle Gallerie di Palazzo Zevallos Colonna di Stigliano dalla Fondazione del Banco di Napoli, si avvale della collaborazione delle Soprintendenze ai Beni Storici e Artistici dell’Abruzzo e al Polo Museale Napoletano e di un comitato scientifico che comprende, tra gli altri, Marco Bona Castellotti, tra i più autorevoli conoscitori di Tanzio, e Francesco Frangi, studioso di pittura lombarda del Cinquecento. Rappresenta sicuramente un evento assai importante, sicché abbiamo ritenuto costruttivo prenderci il tempo necessario per fornire qualcosa in più di una mera segnalazione. Martirio di Sant’Orsola – Caravaggio Ho meditato a lungo sul fatto che dietro questo progetto ambizioso si celino alcuni rischi. Il principale sta nel forte richiamo al Caravaggio del titolo: risulta non gestito al meglio questo confronto tra Antonio d’Errico (vero nome di Tanzio) e il Merisi, oramai arcistar che ha imposto un dominio assoluto su tutti gli eventi culturali che in Italia hanno a che fare con l’arte barocca e la pittura in generale e il cui nome è un po’ una calamita per le masse. A fronte di ben tredici tra le più importanti opere del massimo artista della Valsesia piemontese, rimane Il Martirio di Sant’Orsola, già facente parte della collezione del Palazzo, l’unica del Caravaggio a potersi misurare in un confronto diretto e, nell’esposizione, non è neppure affiancata a nessuna delle opere di Tanzio. Si è inteso, in effetti, più che parlare della già nota e profonda influenza di Caravaggio su Tanzio, già riconosciuta in passato da Roberto Longhi (che già considerava Tanzio uno dei più originali interpreti del caravaggismo in Italia) e da Giovanni Testori (vero e proprio nume tutelare della mostra, la cui presenza è evocata in un commovente video ai margini dell’esposizione), far luce sui rapporti tra Tanzio e gli altri caravaggisti, in modo particolare quelli napoletani. Uno dei grandi meriti degli studi di Terzaghi e di questa esposizione è stato quello di contribuire a rendere finalmente molto più chiara la cronologia dei quindici anni trascorsi da Tanzio, a partire dal Giubileo del 1600, lontano dalla natia Valsesia a Roma e poi a Napoli, anni cruciali per la sua formazione e realizzazione artistica, eppure così poco noti agli studi. Terzaghi ha trovato il documento di matrimonio di Tanzio a Napoli nel 1610 e da questo ha ricostruito la biografia dell’artista fino a quel momento, limitando il periodo romano dal 1600 al 1610 e proposto il 1582 come data di nascita più probabile. David con la testa di Golio – Tanzio da Varallo La mostra presenta Tanzio come uno dei protagonisti della pittura napoletana degli anni ’10 del Seicento proponendo tutta una serie di raffronti coi primi grandi protagonisti del caravaggismo napoletano, Battistello Caracciolo, Filippo Vitale e il suo allievo Carlo Sellitto, il fiammingo Louis Finson, con gli ultimi tra i maggiori esponenti tardo-manieristi in città, come Fabrizio Santafede e Ippolito Borghese, e con uno dei suoi maestri romani, Giuseppe Cesari, il Cavalier d’Arpino: l’idea è quella di descrivere ognuno di questi maestri, al di là delle analogie di stile che possono o non possono esserci, come coinvolti e partecipi di un’unica sensibilità artistica, una “grammatica comune”, secondo le parole di Terzaghi. Senza ombra di dubbio, tutti questi artisti, non solo contemporanei, ma pure conoscenti tra loro, l’uno puntualmente aggiornato sugli sviluppi degli altri attraverso la diffusione di stampe e scritti critici, partecipano di una comune temperie culturale, influenzata da quella sorta di fervore cupo, magico e trascendentale che anima tutta la migliore arte del Siglo de Oro spagnolo coevo e dominante, ma bisogna chiedersi se arrivare a tracciare paralleli così forti tra Tanzio e i pittori di Napoli del primo Seicento sia operazione troppo rischiosa. Sono persuaso che l’avvento di Caravaggio abbia contribuito a cambiare l’intero modo anche solo di pensare un’opera d’arte, tracciando la strada per una caratterizzazione emotiva dell’opera fino ad allora inedita e impensata, ma ritengo che il fenomeno non riguardi solo questi artisti e soprattutto andrebbe ricordato anche l’altro fulcro di questa “rivoluzione”, la scuola bolognese di Annibale Carracci, le cui opere mi sembrano importantissime nell’ideazione di tre delle pale d’altare di Tanzio esposte, quella di Collemezzo, quella della Collegiata di Pescocostanzo (Madonna e santi di Annibale alla Pinacoteca Nazionale di Bologna), quella di Domodossola (Madonna di San Matteo di Dresda, sempre di Annibale). San Francesco riceve le stimmate Terzaghi illustra bene i rapporti personali tra alcuni di questi artisti e Tanzio, dimostrando ad esempio come la già menzionata Madonna dell’incendio sedato di Pescocostanzo dipenda molto, nella sua costruzione, dalla Madonna del Rosario di Caravaggio di proprietà del Finson, pittore che, come molti altri artisti fiamminghi minori, “arrotondava” i suoi proventi con l’attività di commerciante d’arte. Tuttavia, Tanzio non riesce mai ad apparirci come un “pittore napoletano” o anche solo integrato nel contesto napoletano, ma è definitivamente troppo “nordico”. Sono convincenti i richiami all’arte del tedesco Adam Elsheimer (in contatto con Tanzio attraverso i suoi allievi) e sarebbe interessante cercare di illustrare più approfonditamente il legame di Tanzio con i pittori fiamminghi attivi a Roma in quegli anni (come Gherardo delle Notti, cui spesso fa pensare nelle sue scene notturne), dato che il pittore, proveniente da una comunità walser, parlava fluentemente il tedesco. Convince il rapporto tra Tanzio e il Cavaliere d’Arpino, presso il quale aveva lavorato nei primi anni romani. Sono suggestive alcune analogie che si possono trovare tra Tanzio e Vitale nella luminosità dei colori, nello spirito incantato di certi paesaggi, ma d’altro canto Tanzio sembra lontano dall’ambiente, per dire, di Battistello o di Stanzione. E già il fatto che l’unica sua opera conservata a Napoli siano quei frammenti di presunta Pentecoste, oggi a Capodimonte, facenti parte di un altare che venne completamente modificato qualche tempo dopo, suggerisce l’idea di un artista poco integrato, poco amato e ancor men capito: tanto che a Napoli le sue opere più importanti furono fatte per una periferica committenza abruzzese. Nei dipinti realizzati dopo il ritorno in patria, a partire sin dal San Carlo comunica agli appestati del 1616 (già talmente lombardo nello spirito da far quasi pensare che Tanzio in realtà possa non aver mai valicato gli Appennini), passando per gli straordinari affreschi del Sacro Monte di Varallo che possiamo ammirare in uno dei due video presenti alla mostra, subito si evince invece il legame con la grande tradizione pittorica cinquecentesca lombarda fino ai contemporanei Cerano e Morazzone, dei quali possiede la medesima retorica religiosa, possente, severa, trascendentale, tardo-manierista. Nel video, Testori ricostruisce splendidamente il legame con Gaudenzio Ferrari, accostando la mimica assai espressiva, quasi allucinatoria, dei volti di Tanzio e quelli di Gaudenzio. In definitiva, questa mostra è un positivo contributo agli studi su Tanzio e sulla pittura e la cultura italiana del primo Seicento, grazie a scoperte importanti, e bisogna lodarne il sapiente allestimento che riesce a unire un apparato informativo rigoroso, puntuale, ma non soverchiante a dei percorsi piuttosto fluidi che permettono la piena godibilità di molte bellissime opere, come la Madonna delle anime purganti di Battistello e I santi vescovi con Immacolata Concezione di Filippo Vitale che nel salone centrale attorniano il San Carlo comunica gli appestati e La circoncisione di Cristo di Tanzio. Viene infine ricordata la grande e poliedrica figura di Giovanni Testori, critico, storico dell’arte, poeta e pittore scomparso nel ‘93, di cui un brano è stato letto all’inaugurazione da Iaia Forte, mentre si proietta un video (rintracciabile sulla rete) con la sua splendida lettura critica del Sennacherib sconfitto dall’angelo di Novara, chiesa di San Gaudeno. Esposta fino all’11 gennaio, un amante delle belle arti non potrà assolutamente perdere questa mostra. info mostra Gallerie d’Italia – Palazzo Zevallos Stigliano via Toledo 185 – Napoli fino all’11 gennaio 2015