John Lewis MarshallRijksmuseum dal Secolo d’Oro ai “Tempi Moderni”: spazio alla fotografia Angelica Vigilante 3 Novembre 2014 News Con l’inaugurazione della Philips Wing, il Rijksmuseum completa una metamorfosi durata dieci anni e ci mostra come rinnovarsi senza lasciarsi i secoli migliori alle spalle. La prima volta che ho messo piede al Rijksmuseum di Amsterdam, il museo più rappresentativo della storia dell’arte olandese accoglieva i visitatori dalla porta sul retro, esponendo solo una selezione di 400 opere: i capolavori di Rembrandt, Vermeer, Haals, de Hooch e altri maestri dell’arte fiamminga stretti gomito a gomito in poche sale scure. Era la primavera del 2004 e da pochi mesi l’imponente edificio progettato da Cuypers (lo stesso architetto della Stazione Centrale di Amsterdam), tra i luoghi più simbolici della città, aveva iniziato una trasformazione strutturale che si sarebbe conclusa solo dieci anni dopo, con tanto di fuochi d’artificio arancioni e taglio del nastro da parte della regina Beatrix. Il progetto di ristrutturazione, diretto dallo studio spagnolo Cruz y Ortiz, e supportato da studi di design locali (Van Hoogevest per il restauro e Studio Linse per l’interior design), ambiva a liberare l’edificio da sovrastrutture e interventi piuttosto grossolani accumulatisi nei secoli, spesso coprendo elementi di pregio. Durante tutta la fase di ristrutturazione, i visitatori erano ammessi in una dépendance, un tempo chiamata informalmente ala dei frammenti: una costruzione formata inglobando parti di vecchi edifici demoliti, trasportati qui a fine Ottocento da tutto il Paese, a offrire un collage rappresentativo dell’architettura olandese. Nella primavera del 2013, l’imponente edificio del Rijksmuseum è stato restituito alla città e ai suoi visitatori con l’aggiunta di due nuovi corpi, l’apertura al pubblico dei giardini e la riapertura di una maestosa galleria centrale, che permette a ciclisti e pedoni di attraversare il museo e godere della vista dell’arioso atrio illuminato a luce naturale. Quest’ultimo, ricavato da Cruz y Ortiz come piazza interna, area di raccordo e fulcro della visita al museo, è divenuto il simbolo del nuovo Rijksmuseum. L’ala dei frammenti, dopo aver sopperito alla chiusura del museo per dieci anni, alla riapertura del corpo principale ha chiuso i battenti, per poter essere a sua volta rinnovata e restaurata. Rinominata Ala Philips – brand olandese che è il principale finanziatore privato del museo – ha aperto al pubblico il 1 novembre, con una discontinuità rispetto al passato: con questa inaugurazione, il museo statale dedica uno spazio permanente alla fotografia. Dopo dieci anni, la scorsa settimana sono quindi tornata sul luogo del mio primo incontro con il Rijkmuseum e i suoi classici, trovandomi in uno spazio espositivo del tutto cambiato: design netto e moderno, un espresso bar e un ristorante di lusso, dieci sale espositive immerse nella luce naturale che scende dal soffitto a vetri e attraversa uno scultoreo schermo acustico (miniatura di quello presente nel corpo principale del museo) e, al posto dei Rembrandt e dei Vermeer, le oltre 400 immagini fotografiche della mostra Modern times (selezionate tra le 30.000 in possesso del museo). Il Rijksmuseum cominciò a inventariare le sue fotografie a partire dagli anni ’90, con l’istituzione di un dipartimento di fotografia, ma la collezione era accessibile soltanto agli studiosi attraverso la biblioteca del museo. Mattie Boom cura la collezione fotografica del museo sin dall’inizio e insieme ad Hans Rooseboom ha curato la mostra Modern times, nonché l’approfondita pubblicazione che l’accompagna. La mostra ripercorre gli sviluppi fondamentali della fotografia nel XX secolo, l’epoca che l’ha vista affermarsi come forma di comunicazione e come arte, articolandosi in sette temi che spaziano dal documentario sociale, al fotogiornalismo, alla moda, passando per la vita quotidiana e la fotografia amatoriale. “Nel 2005, quando ormai era chiaro che il Rijksmuseum, il nuovo Rijksmuseum, si sarebbe aperto anche all’arte e alla storia del XX secolo – spiega la Boom – capimmo che potevamo spingerci a espandere la colleziona fotografica del XX secolo ed è quello che abbiamo fatto negli ultimi nove anni, grazie al sostegno di Baker&McKenzie [studio legale americano con sedi in tutto il mondo, ndr]”. Conducendo i giornalisti attraverso la mostra, la Boom spiega come le donazioni di album di foto amatoriali abbiano un ruolo importante non solo dal punto di vista artistico, ma anche da quello storiografico. In linea con l’identità istituzionale del Rijksmuseum, infatti, il dipartimento condotto da Boom mira a rappresentare la fotografia come disciplina e come forma d’arte, ma anche il suo contributo alla storia dei Paesi Bassi e dei rapporti con le colonie. Anche per questa vocazione storica, il museo espone solo stampe d’epoca nei formati originali, che – spiega Boom – “parlano della funzione della singola foto” nel suo contesto, e mira ad acquisizioni che possano contribuire alla collezione in modo da rendere conto delle pietre miliari della storia della fotografia (non solo olandese). La mostra Modern times comprende opere rare di Brassaï, Jacques-Henri Lartigue, Joel Meyerowitz, Man Ray, Viviane Sassen e altri. Il Rijks è naturalmente il più tradizionale tra i grandi musei di Amsterdam: il suo ruolo nel circuito museale della città è quello di rappresentare l’arte olandese più classica, eppure proprio in virtù di questa vocazione storica, il museo dialoga attivamente ed efficacemente col presente. Ogni anno il Rijksmuseum commissiona un lavoro a tema a un fotografo olandese di rilievo, proprio per rappresentare i tempi e creare una sorta di annale fotografico. In questo, il Rijks dimostra che si può essere un’istituzione dedicata al passato e alla tradizione senza voltare le spalle al presente. Del resto, il confine tra passato e presente è mobile come la storia. Il museo sembra accogliere molto chiaramente questa sfida di rinnovamento e dialogo proprio nei suoi spazi di confine, ospitando nei giardini perimetrali, accessibili a curiosi e passanti, mostre temporanee di scultori del XX secolo come Henry Moore o Alexander Calder. La Philips Wing è arricchita anche da un raffinato inserto tecnologico, l’opera lumino-meccanica Shylight, commissionata appositamente dal Rijksmuseum a Studio Drift di Amsterdam: un sistema meccanico programmabile al computer aziona dei fiori luminosi in LED e seta, che si schiudono calando dal soffitto in una danza di luci, forme organiche, tessuto e robotica. Pensando al futuro, chiedo a Mattie Boom cosa avranno da donare i fotografi casuali, tra dieci o venti anni, al suo dipartimento, che tanto deve ai fotografi dilettanti del XX secolo. Come s’inseriranno nella storia della fotografia gli scatti che oggi raramente migrano dalla abusata forma digitale alla carta? Lei resta interdetta per un attimo, mi risponde con un sorriso sulle labbra che il museo possiede pochissime fotografie digitali e che quel che conta, agli occhi di un collezionista come il Rijks è “l’oggetto tangibile, qualcosa che si possa afferrare”, la foto che qualcuno si sia preso la briga di strappare al flusso sovrabbondante e inarrestabile di immagini, e finalmente di stampare. Poi sembra ripensarci: “È una cosa a cui dovremo pensare, prima o poi. D’altra parte, quando cominciai a studiare storia della fotografia questi libri [libri e riviste fotografiche] non erano così importanti e ora tutti li vedono e li riconoscono come opere d’arte in sé”.