Questa donna la conosco benissimo, grazie ad una precedente mostra in Italia, meravigliosa anch’essa, quando ammirai le grandi tele che ne fecero un’icona. Quella che mi ha meravigliato è stata invece proprio la donna, quella viva, immortalata dalle fotografie ieratiche dei suoi amanti, come dalle cineprese, meno efficienti, che ce la mostrano ancora viva, bella, orgogliosa. Codesta immaginata da Hollywood rimane finalmente sullo sfondo, omaggio ben realizzato grazie alla tecnica che digitalizza e fa vivere i quadri, ma Frida era decisa a riconoscere come reale quanto lei dipingeva, nonostante fosse con lei scritto il manifesto surrealista dal riconoscente Breton. Io sono il popolo: questa è la seconda linea che mi ha attraversato i sensi, ammirando la varietà di abiti tradizionali, ognuno appartenente ad una diversa tribù azteca o maya, così come il rispetto per i volti delle domestiche, contrapposto al dispetto per la fatuità delle donne di potere, spesso sue amanti ancorché rivali in amore o nell’arte. Donna vitale, emancipata, combattente: quella delle lotte comuniste, amante di Trotsky, della vita in tutte le sue forme, dai lavoratori al figlio cui dovette rinunciare. Involontariamente anche femminista, in quanto studente di medicina, poi artista, sempre bisessuale, eppure sempre innamorata solo di Ribera. La mostra invece confonde: codesta imprecisione sulla morte, spiegata come suicidio, ma anche sull’aborto, dato solo per volontario, quando ve ne furono anche spontanei. Oppure sui tanti suoi e sue amanti, assenti nella sua produzione e trattate ripetitivamente solo come curiosità esotiche. Modesto codesto Ribera è onnipresente, come il paragone con altri artisti della sua epoca, punto di forza dell’intera produzione. Mi resta solo un’ultima domanda: quale sarà la Frida del nostro secolo, questa o quella? RACNA. Tutti i diritti riservati Info sulla mostra qui