Questioni di punti di vista. Era ovvio, addirittura fisiologico, che sarebbero nate tremila polemiche: il Comune non ha i soldi solo quando vuole lui; Andy Warhol: alla faccia dell’innovazione; ma i volti di Napoli insieme alle Marylin che c’azzeccano; ci mancava Achille Bonito Oliva che ha le mani in pasta in tutto. Luoghi comuni, fondi di verità, invidie e colpi bassi, cadute di stile con reminiscenze zoologiche. Se si fosse fatto così piuttosto che. Di ritorno dalla Basilica di San Giovanni Maggiore, dove si era appena tenuta la conferenza intitolata A walking tour of the studio di William Kentridge, all’altezza di Piazza Carità, mi imbatto in Mario. Sia chiaro, io non conoscevo Mario ma a lui “ci piaceva assaje come ero vestita” e mi ha chiesto se poteva accompagnarmi per un pezzo di strada lungo via Toledo. Mi chiede da dove stessi venendo e gli rispondo che avevo appena assistito alla bellissima conferenza di un artista che adoro e che, guarda caso, era anche l’autore dell’opera sotto cui stavamo passando. Mario, per cui arte moderna e contemporanea è lo stesso e che Kentridge non sa nemmeno come si scrive, mi dice orgogliosamente di essere andato alla mostra di Warhol, di essersi fatto tre ore di fila e di essersi piacevolmente stupito del fatto che “però ‘chest arte non è accussì difficile!”. Tornato a casa si era andato addirittura a vedere Andy Warhol su Google. Magari Mario si stava un po’ sparando le pose, e magari non diventerà mai un appassionato di arte contemporanea. Ma prima di lasciarmi mi chiede di ripetergli quel nome, che se lo segna sul cellulare. William Kentridge. Stasera se lo cercherà su Google perché “po pure essere ca me piace come Andy Warhol”. Napoli, come Mario, da qualche parte dovrà pure iniziare.