La pittura dipinge la poesia, Francesco Verio incontra Neruda Manlio Converti 12 Novembre 2014 News Non è più giovane e non è più figlio di Chiancone, da cui sempre volle distaccarsi nel nome d’arte, ma resta profondamente espressionista in tutta la sua carriera attraverso il tratto rude che incide nella tela sogni e affanni dell’uomo contemporaneo. Lo ha voluto così Daniela Wollmann, curatrice dell’evento tenutosi al PAN, il cui catalogo resterà per sempre un ulteriore capolavoro tipografico per l’eleganza della presentazione di 37 poesie di Pablo Neruda, tradotte in capolavori dell’arte pittorica da Francesco Verio. Ne resto subito affascinato, nella piena luce di una domenica di ottobre. I colori vivaci, i corpi sensuali, ognuno perso dentro pensieri profondi, che emergono e producono il paesaggio che li circonda. Sono scolpiti dalla mano esperta dell’artista che ci narra così le loro storie. Le opere esposte mi obbligano a leggere ad alta voce alcuni versi, intere poesie, tollerato dalle sale vuote, ma lo sguardo costretto dai versi ruota di continuo sulle opere di Verio, rendendo così più vivo ogni movimento impresso dall’autore. L’uomo melanconico, trasportato in basso dalla pena e in alto dai ricordi, mi appartiene oggi, nonostante il sole, per quell’arcobaleno lontano, la voglia di viaggiare in treno, l’affanno della memoria di mani, che morbide come ali ne toccarono il torace. Sarà il fascino di Neruda, che entra negli spazi remoti delle notti d’amore, raccontandoci ogni momento di passione, saranno i tratti larghi e le figure in cui impersonarci nei dipinti, ma non vorrei allontanarmi da questa sala, né da quell’altra, dove una tigre feroce divora la preda.