Paintant Stories: la pittura “mutante” di Fabian Marcaccio Antonella Maiello 12 Settembre 2014 Artisti Che storie sono queste? Si tratta di 100 metri di installazione che attraversano per intero due sale del principale piano espositivo di Casa Daros. Quello che Fabian Marcaccio vuole però rappresentare con questa serpeggiante e avvolgente opera, che gioca con una molteplicità di dimensioni artistiche, finisce nello spazio continuando nel tempo, come fosse un working progress. L’opera che arriva a Rio de Janeiro dopo varie tappe europee – Stoccarda e Colonia (2000), Zurigo (2005) – è l’espressione più completa della complessa poetica dell’artista italo-argentino. È in quest’opera che Marcaccio riesce a trasformare la sua costante preoccupazione per il dramma esistenziale umano, in un gioco spazio-temporale. Se in altre opere, come quelle esposte in Loveless, Milano 2013, il mix di silicone a tinte fortissime, stampe digitali e corde è giudicato “puro dramma neoespressionista” (Artribune, 1, giugno 2013) senza uscita, in Paintant stories il dramma si diluisce nella scala monumentale e lungo i 100 metri della tela. Accompagnando il percorso che attraversa le sale interne, ma anche gli esterni di Casa Daros, uscendo e rientrando dalla finestra, lo spettatore è coinvolto in un’opera di Action Painting che territorializza e de-territorializza lo spazio, mentre racconta paintant stories. Con l’intraducibile neologismo Fabian Marcaccio ha voluto creare una fusione tra le parole inglesi paint e mutant. Il concetto di Paintant racchiude tutto il senso della sua tecnica, volta a esplorare nuove dimensioni di arte visuale in una prospettiva transdisciplinare. Marcaccio dipinge con i materiali della scultura, sostituendo agli impasti classici della pittura le plastiche, il silicone, le corde e i metalli. Installa i suoi dipinti su stampe digitali, che sono rielaborazioni di basi fotografiche e, in quest’opera, estende il tutto per l’intero volume dello spazio espositivo, modificandone l’architettura. In questo mix disciplinare, l’artista mette in comunicazione l’estetica classica con quella contemporanea, mostrando che se il dramma è una costante della società umana, le nuove tecnologie forniscono tuttavia nuovi canali per esprimerlo, descriverlo, raccontarlo. Da un lato galvanizza lo spettatore entusiasta, mostrando le potenzialità dell’arte nell’era contemporanea, per l’infinita possibilità di commistioni e integrazioni tra mondi che ieri erano separati da confini dottrinali. Dall’altro si apre, senza preoccupazione, ma piuttosto con voglia di dialogo e sete di scoperta, all’occhio critico dello spettatore scettico, che si chiede se questa commistione sia ancora arte o se sia davvero nuova. Ma quali sono queste storie? Le stesse che l’osservatore percepisce. Il topos scelto dall’artista per raccontare la società contemporanea è il “conflitto” nelle sue molteplici forme: tra potere economico e/o politico e chi lo subisce; tra controllo e libertà di espressione; tra uomo e donna; tra pace e guerra; tra violenza e dolcezza; tra odio e amore; tra ideologia e anarchia; tra religiosità e laicità. Marcaccio rievoca queste categorie attraverso simboli che s’inseguono in modo caotico sulla grande tela, ricostruiti plasticamente o rappresentati dalle stampe digitali. Ma essendo paintants, queste rappresentazioni in realtà non sono espressioni rigide di una storia ma parti dinamiche di storie che è lo stesso osservatore a ricostruire attraverso i suoi sensi, seguendo gli effetti cromatici o le sinuosità dei materiali plastici, o gli odori che esse evocano, quando non la commistione tanto degli impulsi materiali quanto visuali e olfattivi. In quest’audace combinazione pittorica, Marcaccio vuole ricordare che in ultima istanza sono i sensi a permettere di analizzare e apprezzare l’elemento estetico, che non per questo può essere banalizzato, ed esiste una continuità tra le differenti espressioni pittoriche nel tempo, dalle tradizionali ai più recenti prodotti digitali. Di fatto gli organi sensoriali dell’osservatore dell’opera d’arte non si soffermeranno mai sull’elemento oggettivo – il singolo pixel o la composizione chimica del colore -, ma percepiscono l’insieme attraverso un esercizio di approssimazione soggettiva e soggettivante. Una capacità interpretativa questa che l’osservatore ha formato e affinato in precedenza attraverso la fruizione della pittura classica. Le nuove tecnologie entrano in gioco per modificare e innovare questa estetica, non per annullarla. bio&intervista Fabian Marcaccio nasce a Rosario in Argentina nel 1963, da madre argentina e padre italiano, ma vive e lavora dal 1985 a New York. Ha esposto in USA, America Latina e Europa, soprattutto nei paesi di lingua tedesca. Nel 2011 è stato insignito dal sindaco di Berlino del premio di scultura Bernhard Heiliger. La sua ricerca artistica ruota intorno alla questione della sopravvivenza della pittura tradizionale nell’era digitale. Guarda l’intervista a Fabian Marcaccio su Eiskellerberg Tv