La luna ed i calanchi, il racconto di un’esperienza da vivere insieme Redazione 20 Settembre 2014 News Ognuno sceglie la vacanza che più si plasma sulle proprie corde emotive e mentali. Quest’estate, dopo un po’ di sole e di bagni sulle coste campane, a fine agosto, con la mia amica Giustina sono andata in autobus ad Aliano, in Basilicata, per curare un laboratorio di fotografia esperienziale sul tema dell’autoritratto, organizzato per il Festival della Luna e i Calanchi. Il festival, diretto dall’eclettico e poetico Franco Arminio, si è tenuto dal 21 al 24 agosto, presentando un programma ricco e fitto di appuntamenti. L’evento ha avuto inizio già con il viaggio in autobus che, come una macchina del tempo, ci ha fatto compiere un salto indietro di almeno 50 anni, portandoci lentamente in questo suggestivo paesino, arroccato su una montagna in mezzo ai Calanchi e cullandoci costantemente in una atmosfera di una rivisitata Woodstock mediterranea. Proverò a descrivere tutto quello che mi ha emozionato: vedrete anche alcune mie foto scattate in quei giorni, ma ve lo dico, avreste dovuto essere tutti lì con noi per sentire quella strana e inebriante atmosfera, che si è posata su tutti noi fino a trasformarci, nei giorni successivi al rientro, in inguaribili romantici. La sede del laboratorio All’arrivo in paese, ci dirigiamo verso una piccola casetta, piena di efficientissimi ragazzi del luogo, che si è rivelata per tre giorni la centrale nevralgica del Festival: l’ufficio informazioni, ma anche l’ufficio decisioni, sostegni emotivi e consigli. Ragazzi, che non si sono risparmiati mai nel loro lavoro, avendo sempre cura di soddisfare le esigenze di tutti gli ospiti del paese per venti ore su ventiquattro. Venti ore su ventiquattro è stata anche la durata del programma del Festival declinata in ogni suo giorno, in modo del tutto libero fantasioso e pieno di sorprese. Ho provato a seguire tutto il carosello di incredibili eventi proposti, ma l’impegno con il mio laboratorio mi ha concesso poco tempo, facendomi così oscillare dal ruolo di “docente” a quello di “turista” due volte al giorno, ogni giorno. In una piccola piazzetta del paese dal fiabesco nome Panevino, che sembrava uscire da un disegno di Esher, si è tenuto gran parte del Festival. I nostri laboratori di fotografia, danze popolari, poesia e altro ancora, erano tutti lì, quasi incastrati nelle tante grotte che si affacciano nella piazza. Un laboratorio del festival Gli spettacoli di musica, i recital teatrali, le letture di poesie spesso nascevano altrove, ma poi venivano spostati nella piazzetta sotto le grandi gradonate che ci hanno ospitati: in piedi, seduti, a volte all’alba un po’ addormentati, spesso allegri o anche commossi e sempre increduli di fronte alla poesia offerta in modo così generoso da tutti gli artisti che hanno partecipato a queste giornate. Ho conosciuto persone incredibili, ho conversato con loro nella nostra mensa o sotto al palco in attesa delle loro esibizioni, con alcune di loro ho diviso casa: mi è sembrato di conoscerli da sempre, un po’ come accade in quei lunghi viaggi in treno nei quali, per qualche strano motivo, racconti al tuo vicino tutta la tua vita. Ho avuto la fortuna di conoscere anche altre persone piene di fantasia, di poesia e di vita: sono passati a più riprese nel mio laboratorio dal titolo L’autoritratto ricostruito. Quando mi chiedevano informazioni sugli strumenti necessari per seguire il laboratorio rimanevano tutti molto colpiti dalla mia domanda: hai un documento di identità? Prove di uno spettacolo È dalla foto-tessera, infatti, che ho iniziato il percorso con i miei partecipanti: una fotografia che per i lineamenti mostrati indica la tua, ma non parla di te, non racconta i tuoi amori e le tue passioni, i tuoi dolori e le tue speranze. Ho costruito una serie di tappe successive all’analisi di questa fotografia, centrate sul riconoscimento, in alcune storiche fotografie, della personalità dell’autore, tanto quanto quella della persona ritratta e magicamente attraverso una serie di domande, anche di quella del partecipante che aveva scelto una foto piuttosto che un’altra. Tutto il percorso si concludeva poi in quello che ho chiamato il ritratto dell’arte. Pubblico in piazza Panevino Ai miei partecipanti ho chiesto di scegliere uno dei tanti ritratti che ho selezionato, in modo del tutto trasversale, da tutta la storia dell’arte figurativa, soffermandomi sulle diversità caratteriali in essi espressi. Il gioco di chiusura del laboratorio consisteva nella ricostruzione fotografica di questo quadro, da parte di ogni partecipante, tenendo conto di quanto questa scelta fosse intimamente legata ai suoi aspetti emotivi e caratteriali. Ogni ritratto fotografico elaborato è stato dunque ricostruito partendo dalla lettura veloce e poco empatica espressa dalla fototessera e finendo con la ricostruzione molto dettagliata operata in prima persona dal partecipante. Abbiamo riso, ci siamo commossi, abbiamo fatto mille e più ragionamenti ma alla fine, quello che colpiva di più era il senso di leggerezza unito allo stupore che vedevo disegnato nei loro volti, quando osservavano le fotografie realizzate: la consapevolezza è un buon modo per iniziare il cammino. E poi c’è stata l’ultima notte, che sembrava non finire mai, nella quale ci siamo spostati da un evento all’altro sempre pieni di adrenalina e di curiosità come il primo giorno. Partire è stato molto difficile, perché sapevo che questo caldo abbraccio del paese, dei suoi ospitali abitanti e di tutti noi avrei dovuto subito trasformarlo, al rientro in città, in qualcosa di creativo per non diventare facile preda di piatte nostalgie. Aliano 2014: io c’ero. Racconto di Federica Cerami www.federicacerami.it Notizie del Festival http://www.lalunaeicalanchi.it/