Non inganni il cognome di una villa storica e di una nobile famiglia napoletana, non ingannino le statue romane fotografate e riciclate nelle sue opere: Luca Pignatelli è milanese e io ovviamente arrivo in ritardo alla sua presentazione rigorosamente puntuale. Siamo nel caveau della reggia di Capodimonte, inatteso locale ipermoderno e cromofobico, appena arredato dalle vastissime tele contemporanee, che mi osservano e che mi giudicano. Il cubo centrale – con teste di donne romane e crani – non lascia nessun dubbio alla citazione del nostro Mimmo Jodice, come le sue teste e maschere di Ercolano, che ci accompagnano da un decennio con il loro sguardo millenario sotto la galleria della metropolitano della stazione Museo. Chiave d’interpretazione delle sue opere e della sua tecnica, un volo apparentemente sereno di un aereo della seconda guerra mondiale, tra le cime millenarie di ghiacciai eterni. Al suo lato, l’ultimo capolavoro, citazione delle ”grottesche” di Pompei, come fossero state arse di nuovo, crollate sotto i colpi del tempo, dimenticate dopo una tempesta atomica, pallide e oscure ombre tridimensionali di un passato che non sappiamo trasformare in futuro. Questa è la traccia principale dell’installazione, curata da Bonito Oliva: rendere contemporanee le lacerazioni del tempo e la memoria del nostro passato, attraversandole senza pregiudizi e senza rancore. info mostra La mostra di Luca Pignatelli, curata da Achille Bonito Oliva, sarà esposta al Museo di Capodimonte di Napoli fino al 15 luglio 2014