Loris Liberatori in mostra alla Galleria di Piero Renna a Napoli Giordano Mare Aldo Saulino 27 Marzo 2015 News Nella sua sede minimalista, in Via Nuova Pizzofalcone a Napoli, gli ambienti, i colori, la comunicazione e le scelte artistiche della sofisticata Galleria PRAC (Piero Renna Arte Contemporanea) sono una vera dichiarazione di stile. Di stile classico, per l’esattezza. Loris Liberatori – Jardin de Bagatelle In questa direzione classicista rientra l’inaugurazione della mostra En plein air di Loris Liberatori, che si è tenuta il 20 Marzo (e rimarrà allestita fino all’8 Maggio), pittore che dopo un lungo percorso nell’arte informale sta forse concretando la sua Weltanschauung in un graduale passaggio verso soggetti figurativi. Loris Liberatori nasce a La Spezia nel 1958 e comincia a farsi notare prestissimo: la prima personale di questo enfant prodige è già a 14 anni. Seguono gli studi a Pisa e a Firenze, l’amore per Alberto Burri, Afro Basaldella, per i pittori Nabis, la laurea in Storia dell’Arte e la specializzazione post-universitaria nel Metodo Martenot, metodo di didattica psicopedagogica sviluppato in Francia negli anni ’30, che lo porta a Parigi. Qui scopre la pittura astratta e sensistica del cinese Zao Wou-Ki che gli fornisce gli spunti necessari per rileggere Klee, Monet e gli Impressionisti: non è necessario rappresentare una forma figurativa chiara e intellegibile, quella è cosa che possono fare l’occhio e la mente dello spettatore. Ciò che è imprescindibile è seguire le suggestioni dello spirito per creare l’impressione sensuale di un’immagine, una linea, una campitura, uno sfumato, che possono diventare qualsiasi cosa ai nostri occhi stimolati. Liberatori realizza una pittura che forza ulteriormente il percorso ricostruttivo della mente. Vediamo esposti piccoli quadri astratti, tele dipinte a olio luccicanti di ori, azzurri, bruni, monocromi bianchi, inserti di terra rossa salentina, polveri di marmo inglobati nella vernice per creare suggestivi addensamenti materici. Cosa rappresentino non è dato inizialmente sapere: Renna, non volendo inficiare il processo di riconoscimento dell’opera, non espone didascalie chiarificatrici. Bisogna allontanarsi un attimo, scoprire che ciascun riquadro è in rapporto con quelli che gli stanno sopra, sotto, ai lati. Ecco che un gruppo di nove, dodici quadri forma un’immagine. Questa è una figura intelligibile, evidente: è l’ansa di un fiume che piega mostrandoci entrambe le rive, i riflessi, le luci dapprima realistiche, poi fantastiche, oniriche, accecanti. Gli inserti materici costruiscono dettagli potenti: increspature dell’acqua, nodi sulle cortecce degli alberi. Nonostante la densità materica della superficie pittorica, le immagini sono prive di reale profondità e si basano su un disegno chiaroscurale appena abbozzato, se si eccettua il virtuosistico monocromo di Piazza Plebiscito. È questa un’opera che ha riscosso facili apprezzamenti, ma che non convince: posta in contrasto tematico e tecnico stridente con gli altri paesaggi, pare esposta perché siamo a Napoli, per quanto sia l’unico tra i quadri in mostra a dimostrare la buona abilità disegnativa di Liberatori. Kew garden Emerge con evidenza, studiando i quadri di fiumi e di giardini, l’utilizzo del medium fotografico. In questo senso, il titolo della mostra En plein air è forse fuorviante: questi paesaggi non sembrano dipinti all’aria aperta, non è colta la luce naturale. Queste rive, queste acque sono state guardate, interiorizzate, ricordate, forse riviste a distanza di tempo, fotografate, sognate e tramutate nel sogno prima di essere dipinte. Si diceva dell’assenza di profondità nelle luci e nelle ombre. Essa è intenzionale: ogni quadro ricorda un dagherrotipo, non a caso prevalgono le luci fredde nei monocromi blu e perfino nei monocromi bianchi emergono sfumature color seppia. I quadri astratti che erano diventati paesaggi reali sono mutati di nuovo, rivelando le radici ancora espressioniste dell’arte di Loris Liberatori: sono ora le trasfigurazioni di luoghi mitici che esistono nell’anima dell’artista prima che nella realtà. Qui è forse da leggere l’apporto ideologico del già citato Metodo Martenot che, per altro, Liberatori insegna ai bambini nell’École d’art Martenot di Roma. Questa pratica propone ai bambini (ma anche agli adulti) di leggere e realizzare l’arte attraverso un viaggio spirituale nelle sensazioni che la realtà ci dona, sia in pittura che in musica, se possibile, in totale assenza di tensioni mentali e fisiche: uno stato di grazia che prende il nome di distensione attiva che favorisce la concentrazione e ha effetti terapici sulla psiche. Solo in seguito, viene proposto agli allievi l’apprendimento e l’apporto delle tradizionali tecniche artistiche. Ecco perché in queste opere si può percepire un’aura eterea, luminosa e squillante: esse nascono da una soggettività mistica e accorata che è concettualmente vicina ai primi Espressionisti, i figli di Gauguin, i profeti pionieri di Pont-Aven, i gloriosi Nabis. Maurice Dénis definiva “un quadro come una superficie piana coperta di colori posti con una certa armonia, al di là di qualsiasi contenuto”. Loris Liberatori è senz’altro d’accordo.