Homelonging summersLonging Summers: Non vale la pena Redazione 9 Agosto 2015 longing summers, News Di Paola di Gennaro. Forse non vale la pena interrogarsi troppo sul perché, invece di stare a mare o al postaperitivo che risolve le sere estive, o almeno lavorare, sei ferma a contemplare per decine di minuti le foto di Cary Grant e Randolph Scott. È questa la foto più popolare che ritrae i due attori mentre fanno una corsetta sulla spiaggia di casa loro, una villa sul mare a Malibu, chiamata da tutti Bachelor Hall, la “residenza degli scapoli”. Dove qualcuno si ostinava ancora a provare a far circolare le donne più belle che bazzicavano in vario modo il jet set di allora, con l’ovvio zampino delle case di produzione, che cercavano disperatamente di preservare la loro immagine. Ma niente, loro – che vissero in totale undici anni della loro vita insieme – si divertivano un mondo a stupire entourage e albergatori, nel farsi cambiare spavaldamente le camere per dormire insieme, nel flirtare sempre col sesso sbagliato, nell’ammettere di divertirsi a farsi chiamare gay. Sette matrimoni – cinque e due rispettivamente – non arrivarono a impedire a questi splendidi signori, negli anni ’70, di rimanere ultimi nelle sale da pranzo di alberghi e ristoranti, tenersi teneramente ancora per mano. Questo il riassunto. E la risposta alla stupida interrogazione di poco sopra. Torniamo indietro. Torniamo dietro alle porte chiuse di casa, dove i due sono “profondamente, follemente innamorati, la loro devozione completa”, appassionati, teneri, amorevoli e premurosi, e assolutamente non imbarazzati nel mostrarlo. Ovviamente le foto che possiamo contemplare sono foto a porte semichiuse. Nondimeno, la loro bellezza manifesta l’intensità che solo intorno a pochi eletti pertiene alla vita quotidiana. Solo coloro che sono eletti ad essere portatori di bellezza possono essere presi sul serio in una foto in cui uno guarda marinescamente fuori dalla finestra senza sembrare ridicolo, e l’altro finge di essere impegnato in attività di corrispondenza, o qualcosa di simile, apparendo ancora più bello di quando corre in spiaggia, in maglione a V bianco e blu. Ogni nuova foto scovata con fin troppa faciltà sul web non fa altro che farti chiedere che piega abbia preso il mondo negli ultimi decenni per averci resi costretti – a volte con sommo divertimento, per la verità – dai frames dei selfie a squallidi pseudo languidi sguardi persi in mete che pochi riescono a raggiungere, tra il precariato démoralisant e la fine delle erranze a pagamento. Tra l’altro, è forse utile aggiungere che quel maglione, in foto su Randolph Scott, lo indossa Cary Grant in uno dei video che li filma insieme, forse alle corse, intenti a ridacchiare in abiti condivisi. Un maglione simile credo di averlo intravisto recentemente in qualche nuova collezione Max Mara, su modella a bocca seria. Qui sorridono attorialmente; ma questo non significa che la finta nonchalance non nasconda una vera nonchalance. Un po’ quella che rivediamo anche in A Single Man, il film di Tom Ford tratto dal romanzo di Christopher Isherwood (Menzionare Isherwood è troppo allettante, magari ne parliamo un’altra volta). Intanto ci godiamo anche Matthew Goode e Colin Firth nella scena più cozy del film. E intanto pensiamo anche a un sottofondo musicale. Tralasciamo il pensiero di quali canzoni sceglieresti per una compilation da fare a vecchi amici che non sanno nulla di rock, in un solo cd, forse due. Pensiamo a Sinatra, o a Duke Ellington. Forse a cercare bene in qualche biografia, ad afa finita, si scopre pure cosa stessero canticchiando quando hanno scattato loro questa foto. Pertinente, e anche divertente, è ricordare che infine l’unica pellicola che girarono insieme titolava My Favorite Wife. Fu durante le riprese allo Huntington Hotel di Pasadena che lo script supervisor Bert Granet, il regista, Garson Kanin, e la loro “ultra-macho crew” (divina definizione) videro la coppia spostarsi coraggiosamente e oltraggiosamente in una camera doppia: “Everyone looked at everyone else. It seemed hardly believable”. Applausi. E poi rientriamo nelle mura. Vita volontariamente addomesticata – scalpore degli scalpori. Routine invidiata da tutte le pellicole passate presenti e future di cuori capanne e piatti da lavare. Tra caffettiere, stupori incompresi, e oggetti sulla cui utilità si potrebbe discutere. Animali domestici in riunione davanti alla solenne scelta del cibo, da fare rigorosamente in famiglia. Come il fumo al tramonto (e in qualsiasi altro momento; si era ancora in era pretabù del tabacco). Ora certo, pochi di noi apprezzerebbero la proposta di farsi una bella partita di backgammon a tende tirate e a libreria aperta. Anche perché, diciamolo, chi sa ancora giocare a backgammon? Solo nel film Hamam – Il Bagno turco, di Ferzan Ozpetek, ci giocano ancora. Ma lì siamo in Turchia, anche se i protagonisti sono belli e amoreggianti quanto questi. In fondo, è con foto così che viene quasi voglia di tornare a giocare. E amare per sempre. O anche solo sperare che arrivi di nuovo l’autunno. La rubrica: Longing Summers di Paola Di Gennaro Certe estati si rimane a casa e si decide di leggere e scrivere, come da bambini quando ti comprano i libri dei compiti per l’estate (io credo di non averne mai avuti, sebbene da secchiona cronica li abbia sempre desiderati). Così, tanto per cercare di rilassarsi a fine anno accademico. Niente mare, troppo sole per strada, poco ossigeno, e molta anguria. Di pescatori idillici e nostalgici neanche l’ombra; reti solo quelle di web e social network. Passi i pomeriggi tra il calore del divano e quello dell’aria calda della ventola del pc – ma la sera, alla lampada modello Caravaggio non rinunci neanche una volta. Intanto, la rete esercita il suo fascino più che mai, perché in fondo non è che la voglia di lavorare sia tanta. E ti perdi. Inciampi in eteree cianfrusaglie, vecchie e nuove, storie forti ma mai ripescate abbastanza. Il lobo destro lavora più del sinistro (la scienza vince su tutto, nel pot del web estivo), le sinapsi ti rubano la carreggiata di mezzo, e al sorpasso tiri la marcia fingendo di avere una Porsche invece che un motorino stanco e stremato da un anno di corse tra la polvere della città e il garage in collina. Insomma, ti abbandoni ai divertissements. In questa estate 2015 approfitteremo delle sempre più deboli volontà raziocinanti per mostrare collage di foto e appunti sparsi, associazioni libere in carta non stampata, di storie e cose belle – almeno per noi. E non ci prendete troppo sul serio, ché desideriamo l’estate, ma non il caldo, né gli impegni estivi, né le zanzare. Parliamo di storie passate al mixer di deejay e bartender. Si parla di estati agognate e mai arrivate, estati che si celebrano da sole.