Knet Knet: street art contro l’indifferenza Silvia Scardapane 30 Novembre 2014 Artisti, I Protagonisti In Vico San Geronimo, nel centro storico di Napoli, si può ammirare un lavoro realizzato da uno street artist salernitano. Si tratta di Carlo Oneto in arte Knet Knet e il suo lavoro è stato ultimato lo scorso luglio sulle porte della sede napoletana di Arcy Gay. L’opera narra una storia, quella della transessuale Sylvia Rivera, attivista del movimento per la liberazione degli omosessuali: esempio lampante dell’utilizzo della street art come mezzo di comunicazione, ma soprattutto di sensibilizzazione. Un lavoro significativo quello realizzato da Knet, non solo per la comunità LGTB napoletana, bensì per tutti i cittadini. Per questo ho chiesto direttamente a Carlo di parlarmi dei motivi che l’hanno spinto alla realizzazione. “Il lavoro nasce dall’incontro con il Presidente dell’Arci Gay di Napoli, Antonello Sannino, che lamentava le sempre più frequenti scritte e tag, anche di natura offensiva, che deturpavano le porte della sede. Discutendo del problema è emerso che generalmente i napoletani si pongono con rispetto, quasi come presi da un timore reverenziale, verso le rappresentazioni iconiche, anche legate alla street art. Da qui è nata la soluzione: creare una serie di murales di pregio su ognuna della quattro porte della sede.” La scelta di omaggiare una figura come quella di Sylvia Rivera, ovviamente, non è casuale. Si vogliono ricordare gli scontri violenti che si susseguirono a New York nel 1969: fu Sylvia a scagliare la prima bottiglia contro la polizia, quando questa irruppe nella notte tra il 27 e il 28 giugno nel bar Stonewall Inn. Cosa volevi raccontare precisamente con la rappresentazione del tuo disegno? “Il murale vuole cogliere esattamente il momento del lancio, ricreando l’atmosfera soffocante e passionale, evidenziata soprattutto dall’utilizzo del rosso. Ho tradotto l’atto di coraggio e di forza con la realizzazione di gambe muscolose, aiutato anche dalla saturazione del colore che crea una tensione dinamica. La gamba rappresentata è anche espressione di una sessualità ambivalente, che di certo non potevo ignorare. Un piede è nudo, ma mostra anche il dettaglio di un tacco anatomico; è strano ma speciale, perché è stato il modo in cui ho sentito di esprimere le condizioni LGTB, spesso viste dagli altri (soprattutto in passato) solo come una scelta, un capriccio o un vizio e non come naturali. Ho pensato inoltre di creare un riferimento al David di Michelangelo (il movimento) che lotta contro il gigante Golia (il pregiudizio) dando a Sylvia Rivera la mano tipica del David che ora non impugna il dardo ma la bottiglia.” Quali tecniche hai utilizzato per la realizzazione del lavoro? ”Ho preparato prima un piccolo bozzetto su foglio e poi ho lavorato al dipinto, eseguendolo a mano libera con pennello e vernice ad acqua. Successivamente ho effettuato le ombreggiature con le bombolette spray. Il giallo ocra e altri colori stesi in modo puro servono a conferire al murale un aspetto mediterraneo, anche per sottolineare la messa in scena a Napoli di un evento che ha origine in America.” Questo è il primo lavoro che hai realizzato a Napoli, dove certamente il rapporto con la street art è ben diverso rispetto alla città di Salerno. Quali sono le differenze che hai riscontrato? “Lavorare per la prima volta a Napoli mi ha permesso di riflettere su quanto il tessuto socio-economico di un contesto metropolitano stimoli e sviluppi la street art. Le reazioni degli abitanti sono state positive e incuriosite. C’è stata una partecipazione attiva attraverso consigli e racconti, addirittura gli anziani contribuivano con osservazioni di stampo decisamente cosmopolita. A Napoli ho avuto la sensazione di essere considerato un artista, a Salerno, al contrario, ho la percezione di essere un imbrattatore notturno. Sembrerebbe una contraddizione, in quanto Salerno mostra di apprezzare i lavori di street artist come è accaduto in occasione della recente realizzazione dell’opera di Alice Pasquini (opera compiuta grazie alla Fondazione Alfonso Gatto), ma c’è, forse, una spiegazione a tutto questo. Salerno respinge l’informalità a vantaggio di interventi pianificati. La street art è invece un movimento informale, che sta tendendo all’istituzionalizzazione. Salerno si muove all’opposto, prende quello che è già istituzionalizzato, non rischia. Mi piacerebbe che anche nella mia città non si venisse a creare una frattura tra artisti che sono legittimati a fare la street art e quelli che non possono, o non devono. Certe politiche rischiano di creare una dicotomia tra i “buoni” e i “cattivi”, questi ultimi etichettati come imbrattamuri, sui quali pende anche il rischio di pesanti sanzioni. È veramente strano come lo stesso fenomeno possa diventare uno stile o un atto deviante. Una città dovrebbe valorizzare il genere attraverso il riconoscimento dei propri artisti, della cultura e delle immagini locali. A Napoli gli artisti, anche stranieri, hanno invece trovato una propria casa ed è questo il punto; bisogna che le città siano madri del fenomeno della street art e dare ai propri figli gli strumenti, l’incoraggiamento e le ”gambe” per proseguire altrove.”