Bifido mi piace, perché pensa con la testa e anche con il cuore. Utilizza la fotografia per diffondere i suoi messaggi in strada. Lavora molto in studio ma esamina molti luoghi, legge storie, incontra persone. In un momento in cui la fotografia acquista sempre più valore nella comunicazione digitale, il messaggio di Bifido diventa una piacevole eccezione. Ma che potere ha la fotografia in strada, da dove nasce questa esigenza? Il mio approccio alla fotografia nasce dal cinema, per poi proseguire per vie autonome. In realtà la tecnica fotografica in sé e per sé non mi ha veramente conquistato finché non ho cominciato a stampare e utilizzare i miei ritratti in strada. Da questo punto di vista il mio rapporto con essa è in piena metamorfosi. Nello scatto sono alla ricerca di una sempre maggiore “semplificazione”, un’essenzialità che permetta al soggetto di imporsi, lasciando ad altri elementi (la carta che si deteriora, gli inserti pittorici, la composizione degli elementi) la funzione narrativa. Bifido e Julieta XFL – EGO Credo che la fotografia in strada crei un dialogo più diretto e violento rispetto a quello che potrebbe fare dalle pareti di un museo o attraverso un monitor. La foto in strada – come per tutta l’arte fatta nello spazio pubblico – è una deviazione nella vita delle persone, un incidente che interrompe la quotidianità dello sguardo, imponendo un mutamento di prospettiva. Non importa cosa pensi chi si imbatte in un mio lavoro per strada, importa che quel soggetto che ha di fronte si imponga come una domanda. L’arte in strada di Bifido è contro il sonno della ragione. Contro l’immagine accattivante da cartellone pubblicitario di cui siamo ormai sazi. Acquistiamo quotidianamente, in maniera involontaria, immagini e messaggi; li rigettiamo dopo pochissimi secondi, senza nemmeno aver compreso cosa sia successo ai nostri occhi o nella nostra testa. Per questo quella di Bifido è la rivalsa della fotografia, dell’immagine mai banale né estranea al contesto. Non so perché la fotografia faccia fatica a diffondersi nell’arte pubblica. C’è da dire che il processo è abbastanza complesso. È particolarmente importante una buona osservazione degli spazi e dei materiali per capire come l’immagine si integrerà nel contesto e come la carta reagirà sul muro. Inoltre la cosa che amo dell’utilizzo della fotografia in strada è la sua capacità di mutare. Con la carta il processo di deterioramento è particolarmente suggestivo e invecchiando l’immagine continua a rinascere fino alla sua scomparsa. La scomparsa stessa, l’alone o la sagoma del soggetto, lascia una memoria che continua a vivere sul muro. Stupidamente le persone sono sempre alla ricerca di certezze e spesso devo utilizzare materiali che rendano i miei lavori molto durevoli. La prima cosa che mi chiede un committente è: quanto dura? Bifido – Sweet dreams are made of this Nei tuoi interventi c’è sempre un perché. Molto forte, sentito. Quali sono le tue ispirazioni? Nell’arte cerco artisti e opere che non mi consolino; credo che la bellezza sia importante ma non determinante. Quello che davvero conta è disturbare: con questo non intendo “disgustare” (anche se a volte è necessario) ma creare un incidente emotivo nella quotidianità delle persone. In ogni mio lavoro cerco di fare questo. Hai presente quando non riesci a ricordare il nome di qualcuno? Ogni banale azione, ogni tuo gesto quotidiano, sono insidiati da quella domanda fino a diventare problematici, non più scontati. Vorrei fare esattamente questo: un tarlo nel cervello. Quando riesco a creare un dubbio, un piccolo mostro che mi spaventa seducendomi, allora sono vicino a ciò che mi ispira. Bifido e Julieta XFL – Deep blu Mi sono mischiata all’arte di Bifido durante un viaggio in Grecia, verso Volos. Un viaggio fatto di confronto e comunicazione con la popolazione e con gli artisti. Mentre è più facile immaginare innesti tra pennelli e spray, Bifido ha dimostrato di saper essere un demiurgo della fotografia. Da qui ha preso vita un nuovo progetto con l’artista JulietaXLF, dal titolo Two Dots Project La cosa che ho imparato da Julieta è che le mie immagini non sono sacre, ma si possono profanare. Prima di questa collaborazione tendevo a interagire con le foto più in fase di postproduzione che dopo la stampa, forse per paura di sperimentare (quindi rischiare) su qualcosa che già sapevo funzionasse. Lavorando con lei ho imparato a considerare i miei scatti come qualcosa che continua ad essere “lavorato” anche dopo la stampa. In Grecia la mancanza di aspettative reciproche ha fatto in modo che la nostra collaborazione (da cui è nata l’opera “Deep Blue”) fosse incredibilmente naturale e spontanea. JulietaXLF ha cominciato a disegnare su alcune mie foto, inserendo elementi pittorici sul soggetto o catapultandolo in uno dei suoi mondi fantastici. Alla fine eravamo così soddisfatti del lavoro fatto insieme che abbiamo deciso di collaborare anche in futuro. Nei mesi successivi abbiamo realizzato altre tre opere di notevoli dimensioni in Italia e Spagna. La forza e il potere degli interventi urbani credo risieda proprio in questo: nella capacità di guidarci nella riappropriazione dell’immagine. Bifido – In my room