Era un pomeriggio di fine settembre quando ho incontrato Ryan Spring Dooley. Qualcuno forse ne ha sentito parlare come Marvin Crushler, il suo alter ego. Da tempo desideravo conoscerlo. E in parte già lo conoscevo, perché lo vedevo ogni giorno sui muri del centro storico di Napoli. Ne ho intravisto l’animo tra le rughe della città, sui profili e corpi fluttuanti, sulla linea semplice e infantile, un poco tremolante, sul colore leggero; ho ritrovato tutto questo, e molto altro ancora, in quel pomeriggio di settembre, quando, con il monastero di Santa Chiara sullo sfondo, abbiamo parlato di street art, di arte, di artisti, dell’Italia, della musica.

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Ryan era lì proprio per suonare con il suo gruppo, i Little Pony. Quando ha aperto la custodia del sassofono sono sbucati i profili dei volti e le linee inconfondibili del suo tratto. E quel sassofono è un pezzo di storia per Ryan:

Lo suono praticamente da sempre. Avevo tredici anni quando ho ricevuto questo sassofono direttamente dallo Stato federale Americano, perché la mia famiglia non era ricca. Così sono ventitré anni che lo posseggo; l’ho sempre suonato come sfogo. In passato ho girato l’Italia con due ragazzi americani, mentre ora lo faccio con Marco e Fulvio. Ci piace suonare in posti strani e in strada.

 

Il 15 ottobre è stato anche pubblicato l’ultimo disco del gruppo, We are fall down: Strade, Rane, Principi e Dame (via Red Plastic Label). Ma i Little Pony continuano a suonare principalmente in strada, perché Ryan ne è innamorato, come della gente.

La musica, come la pittura sui muri, produce una soddisfazione istantanea. Non è come una mostra in una galleria, dove la gente si reca appositamente; in strada tutto accade perché deve accadere; è naturale. Mi piace dare energie alle persone.

La musica influenza i tuoi lavori?

La musica entra in tutto quello che faccio, anche nella pittura. Il legame tra la pittura e la musica passa attraverso le parole. Proprio per questo realizzo dei fumetti.

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L’ultimo fumetto di Ryan è dedicato all’arte, Capate sull’arte.

Sono riflessioni nate da alcuni discorsi che ho affrontato ultimamente. Ho tantissimi stimoli, molte idee, e mi sembra un po’ difficile approfondire un solo concetto o dare una etichetta a quello che sto facendo, per questo l’ho chiamato “Capate sull’arte”.

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In questo periodo Ryan realizza anche molti quadri. L’intento è quello di portare a termine lavori cominciati un po’ di tempo fa e non ancora conclusi e di realizzarne di nuovi, naturalmente.

Al momento sto preparando una serie di quadri che uniscono due temi: il ritratto, ovvero il personaggio nel suo intimo, e la scena, ossia il personaggio raffigurato in un contesto preciso e accompagnato da un racconto. Mi piace molto la qualità narrativa della pittura e sto cercando di raccontare storie in modo molto più studiato; si potrebbe anche realizzare qualcosa di simile in strada, sui muri.

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I disegni di Ryan, le loro storie, le parole, sono come delle fiabe. Dopo le feste natalizie uscirà un libro di stampe e racconti realizzato di suo pugno. E in questo saper seguire i sogni, si ritrova quel tratto semplice e infantile che quasi ricorda una citazione molto famosa di Pablo Picasso: “A quattro anni dipingevo come Raffaello, poi ho impiegato una vita per imparare a dipingere come un bambino”.

Quando vivevo a Milano io e i miei amici gareggiavamo a chi realizzasse il disegno più buffo. Qui a Napoli, una volta, sono stato in una scuola del Vomero circondato da tanti bambini e realizzavano dei disegni bellissimi, era un mondo aperto quello che rappresentavano.

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Nulla è più semplice e infantile della linea ed è in essa che Ryan ritrova forza e bellezza.

Sono innamorato della linea, del suo “gioco”. Puoi anche realizzare un disegno con linee storte e magari riderne per ore. Mi piacciono i disegni che non sono perfetti o fatti male. La linea è naturale e sincera e spesso la sincerità è goffa. Chi vuole esprimere un’idea precisa non bada alla forma, proprio come fanno i bambini.

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Cosa pensi debba comunicare la street art, ma anche l’arte in genere? E cosa ti piace comunicare?

Credo che l’arte dovrebbe provare ad abbassare il livello di insicurezza di se stessi e delle persone. Questo è il mio punto di vista ed è quello che cerco di fare. Viviamo in una società dove pare più giusto non accettarsi che il contrario; per questo penso che il compito principale dell’arte sia quello di coinvolgere il pubblico, le persone. Non mi piace essere cinico e brutale, gli artisti devono provare ad essere diversi dalle persone “malate”, dai macro-sistemi politici. Ho ancora l’idea di un’arte che sia tenerezza, che sia come la nonna che ti canta qualcosa.

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Quali sono gli artisti che secondo te sono riusciti ad abbassare questo livello di insicurezza?

Penso che il primo ad averlo fatto sia stato Vincent Van Gogh, soprattutto con il suo uso della linea. Nella composizione, alcuni artisti riescono a creare quella tenerezza, quella morbidezza; Jean-Michel Basquiat ad esempio è uno di quelli: nei suoi lavori sembra apparentemente regnare il caos e invece c’è un grandissimo senso della composizione, come in una ninna nanna.

Murales realizzato con Cyop&Kaf e Diego Miedo

Murales realizzato con Cyop&Kaf e Diego Miedo

Non ti definisci uno street artist, ma hai partecipato a diversi festival, uno degli ultimi a Ercolano (Herculaneum Street Art Festival). Non tutti sono concordi con questo tipo di iniziative, tu come ti rapporti con esse?

A me piace disegnare. Qualche tempo fa ero a un festival e a un certo punto alcuni miei amici si sono messi a parlare degli aspetti economici; ma in quel momento c’era bella musica e l’unica cosa che io volevo fare era ballare. Forse per questo non riesco a vedere i festival come un fenomeno del momento. C’è ancora molto entusiasmo nel conoscere nuova gente e confrontarsi con posti nuovi. A Ercolano mi sono trovato davvero bene e ho incontrato artisti come Guido Rezor, Hopnn e Cristina Portolano.

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Si parla tanto degli street artist che finiscono in galleria e molto spesso questo atteggiamento viene criticato. Cosa pensi in merito?

Una cosa non esclude l’altra. Non mi piace l’idea mistica dell’arte né della street art. Se la gente vuole vedere la street art va in strada, ma se va in galleria è perché è lì che vuole andare e di conseguenza l’approccio dell’artista sarà completamente diverso.

A Ryan piace pensare che qualcosa possa essere distrutto, cancellato. Qualcosa che è certamente insito nella street art e nel tempo che ne logora le parti, ma non solo.

Mi piace sapere che un’opera possa essere modificata o rovinata; mi piace anche quando succede ai miei disegni in strada e dopo finisco per apprezzarli ancora di più. Anche quando dipingo, spesso, rovino ciò che io stesso ho disegnato; cancello e ridisegno qualcosa di diverso. È la bella sensazione di una perdita del controllo. Mi piacerebbe anche pensare a una mostra in questo senso, dove il pubblico possa interagire con le opere, modificando o, perché no, distruggendo quello che ho realizzato.

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I progetti di Ryan sono tanti e sono diversi. Basti guardare anche i suoi video, ennesima espressione che l’artista sceglie per comunicare con il mondo. E forse questa voglia e questa forza creativa di voler e saper comunicare con il mondo è radicata in artisti che, come Ryan, sono cresciuti nell’arte e con essa hanno avuto sempre a che fare.

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Ryan è nato nella città di Madison, Wisconsin (USA), ma ha viaggiato molto, soprattutto in Europa, dove si è laureato in Italia presso l’Università degli Studi di Pavia. Ha vissuto poi nella campagna pavese e a Milano, a Napoli, a Roma e ha avuto contatti con diverse forme artistiche; oltre alla musica, alla pittura, ai video e ai graffiti ha esperienze in fotografia, ceramica e scultura.

E ora, anche se non vive più a Napoli, ci torna spesso, in particolare per suonare con i suoi ragazzi, con i Little Pony.

Napoli mi piace moltissimo e mi piace ancora di più di notte. Camminare tra Santa Teresa degli Scalzi e la Sanità è bellissimo e magico. È bello camminare in posti desolati; sono quelli che preferisco quando devo realizzare qualcosa su un muro.

 

Anche se Ryan non è solo uno street artist, non ama definizioni né etichette, è tramite la street art che mi sono avvicinata ai suoi lavori, al suo mondo delicato e onirico. La prossima volta che sarete in centro, cercatelo tra le crepe dei muri, con il suo tratto dolce e infantile, oppure nei pressi di Santa Chiara, mentre con l’aria di un perenne ragazzino suona il suo sassofono.

 

Per approfondire:

http://www.ryanspringdooley.com/

 https://www.youtube.com/

A proposito dell'autore

Specializzanda in storia dell'arte presso la Federico II di Napoli, lavora con INWARD Osservatorio sulla Creatività Urbana. Amante dell'arte contemporanea e delle molteplici espressioni dell'urban art