Mi alzo già stanco. Fumo una sigaretta e penso a Epifanie, la splendida mostra degli otto fotografi a Castel dell’Ovo. Penso a Fulvio Ambrosio, incontrato proprio là qualche giorno prima. Cerco di ricordarlo. Ricordo di averci scambiato quattro chiacchiere e di aver concordato con lui un’intervista. Diverse le impressioni: prima pensai che, sotto quella faccia da bravo ragazzo, poteva verosimilmente nascondersi uno psicopatico, poi però il suo modo di gesticolare e di parlare mi fecero pensare a un gattone pronto a giocare col padrone. Ricordo pure l’invidia provata nel sentirlo parlare in inglese con dei turisti, in modo così fluente! Siamo amici su Facebook e così, mentre faccio colazione e fumo un’altra sigaretta, mi faccio coraggio, prendo il cellulare, mi collego all’applicazione del social e gli scrivo, lo saluto.

Fulvio Ambrosio 1a1

Gli rivolgo la prima domanda, rifacendomi al titolo del suo lavoro, Fulvio cos’è 1:1?

Rivedendo le sue foto sul catalogo penso a certe fotografie degli anni ’90 e a fotografi come Goldin, Tillmans. Le foto di Fulvio mi sembrano sviluppare in modo originale un’idea di compartecipazione diffusa in quegli anni. Gli chiedo quindi se si riconosce in questa mia impressione e se ha avuto, nell’elaborazione del suo progetto, dei punti di riferimento precisi. Preparo i vestiti da indossare dopo la doccia, apro l’acqua e sto per entrare nella cabina quando sento il bip di una notifica del cellulare, è Fulvio che, collegato, mi risponde:

– Antimo, ma l’intervista la facciamo di persona o attraverso la fredda rete…?.

Beccato, cavolo! Abbozzo giustificazioni per me pure sincere, ma non posso non sentirmi in colpa. Lui, comunque, capisce e gentilmente mi viene incontro, rispondendo alla mia domanda, mentre io uscito dalla doccia comincio a vestirmi:

1:1 è un progetto fotografico sulle interazioni tra il fotografo e il suo soggetto. Il titolo dice del confronto di due unità, ma anche della proporzione di questo confronto, come se fosse in scala. Io in genere fotografo ciò che tocco con la mano. Accarezzo i soggetti dei miei ritratti, ognuno reagisce diversamente. Sono nell’inquadratura assieme a loro: siamo in contatto. Ibrido la fotografia con i miei studi in “psicoanalisi sulle relazioni”. Riproduco degli elementi del setting clinico con azioni performative fotografiche. È una situazione sperimentale, inusuale, dato che toccare il volto è generalmente prerogativa di un rapporto intimo. La mano spunta all’interno delle inquadrature, protesa verso il soggetto. Il muro simbolico creato dalla presenza della macchina fotografica viene attraversato, rendendo permeabile la barriera che separa ciò che si trova davanti e dietro l’obiettivo.
Il fotografo, che in genere rimane al di qua di questa barriera, in questo caso pone una parte di se stesso dentro il campo inquadrato, e diventa egli stesso parte della composizione.
Questa tecnica esprime in maniera esplicita l’idea che la rappresentazione “oggettiva” di una persona sia impossibile, dal momento in cui ognuno di noi è perennemente in interazione con il contesto che vive nel “qui e ora”. Questo progetto nasce da una mia esigenza di contatto con le persone, dal desiderio di instaurare delle relazioni intime, fisiche. Mi sono ispirato ad alcune tecniche psicoanalitiche per dare soddisfazione a questa esigenza di contatto e farne un sistema. L’impianto della performance è ispirato al setting psicoanalitico: due persone, vicine, contenute da un setting che rimane costante entrano in contatto, cercando di andare più nel profondo possibile. L’inquadratura non cambia, lo sfondo è uniforme, il gesto (con minime variazioni) e la luce sono le mie costanti. Sono ciò che permette a chi guarda di concentrarsi solamente sulla relazione. La relazione è il fulcro. L’idea di utilizzare tecniche ispirate dalla psicoanalisi è nata dal desiderio di approfondire sistematicamente le modalità dell’interazione.

Mentre con mia madre mi dirigo in banca, un po’ imbottigliato nel traffico e nella confusione, continuo l’intervista.

Fulvio Ambrosio 1a1

Potresti chiarire il concetto di setting?

– In terapia il setting è tutto ciò che non cambia, (orari, regole, sistemazione della stanza, costi, etc…). Il setting è il contenitore che protegge tutte le variabili, che dà una sicurezza in un cammino impervio, è la base solida che permette di spiccare il volo. Immagina il mio lavoro come un progetto di scavo: invece di scavare in tanti punti diversi ho limitato la mia area di scavo / ricerca sempre di più e ho scavato in un punto piccolissimo e tutte le energie si sono concentrate per scavare solo più a fondo. Ritornando alla tua seconda domanda, mi piacciono molto Tillmans e Goldin, e adoro il loro modo di entrare in contatto con il proprio mondo e con i propri soggetti. Ma ho molteplici altri punti di riferimento.

Mentre aspetto il mio turno in banca comincio a scrivere la successiva domanda: il tuo è uno dei progetti che più mi ha colpito. L’interazione visibile nelle tue foto ha colpito la mia emotività: ho sentito la dolcezza e la bellezza del contatto ma allo stesso tempo mi sono anche turbato, sia quando ho cercato di identificarmi nel tuo occhio, sia quando mi identificavo nei tuoi soggetti. Le tue foto hanno suscitato in me questo contrasto: mi sentivo addolcito e conturbato allo stesso tempo. Cosa ne pensi?

– Fa sempre piaceresapere,  mi risponde contento, che il proprio lavoro in qualche modo colpisce. Forse l’elemento perturbante è legato all’accostamento tra gesti intimi in un contesto preparato e ripetuto, quindi in qualche modo finto e costruito, finto come il cinema o il teatro, ma in qualche modo anche vero perché comunica emozioni autentiche. Inoltre la struttura dell’inquadratura è pensata in modo che chi guarda si possa immedesimare in prima persona, e sentire di essere di fronte al soggetto, un po’ come nei videogame con la prospettiva in prima persona.

Fulvio Ambrosio 1a1

Per quanto riguarda il linguaggio mi ha colpito il tentativo di sfondamento della bidimensionalità, la volontà di eliminare la distanza tra te e il soggetto rappresentato, riformulando il classico hic et nunc. Questo aspetto lo trovo innovativo, originale. Cosa vedi nel tuo futuro?

– Continuerò a lavorare con la fotografia e sulle relazioni. Ho tante idee che mi frullano in testa e sono appena all’inizio. Altre domande?

Per il momento basta così.

Poi però mi ritorna alla mente l’ultima foto dell’album nella quale Fulvio entra in relazione con la madre. Gli chiedo di raccontarmi quell’ultima foto ma non ricevo risposta, Fulvio si è ormai disconnesso. Intanto sono arrivato sotto casa. Mia madre accanto sembra dormire, ha gli occhi chiusi, leggermente dischiuse le labbra. La chiamo:

– Ma’?

Dopo pochi e strani secondi di silenzio mi risponde:

– Sto qua!

Fulvio Ambrosio 1a1

credits

Foto di Fulvio Ambrosio, ritratto di Fulvio Ambrosio di Giuliana Calomino

info mostra

Epifanie, la mostra istallazione, risultato della prima edizione del laboratorio irregolare ideato Antonio Biasiucci e coordinato da Antonello Scotti di Aporema Onlus resterà a Castel dell’Ovo fino al 2 giugno 2014. La mostra è patrocinata dal Comune di Napoli, Assessorato alla cultura e al turismo ed è stata realizzata grazie ad un’azione di crowdfunding.

Castel dell’Ovo – Napoli

fino al 2 giugno 2014

E-Mail info: alessandra.cusani@gmail.com

Sito ufficiale: http://www.comune.napoli.it