Sono in un corridoio del Cardarelli, in fila per mio padre che aspetta una visita dermatologica. Noto lo strano orologio di un ragazzo che mi precede ma mi desto per il rumore del mio cellulare: è Chiara Arturo, fotografa in Epifanie, la collettiva organizzata a Castel dell’Ovo e da poco terminata (qui a Napoli). Le avevo chiesto di parlarmi del suo progetto, 18 miglia.

Ti rispondo da un regionale traballante. 18 miglia è innanzitutto una distanza fisica/spaziale, la distanza tra la mia isola, Ischia, e la terraferma. È, quindi, anche una lunghezza temporale, non solo legata al momento preciso dell’attraversamento (alle piacevoli sospensioni da 55 minuti per volta), ma anche a quella accumulata negli anni, nelle andate e nei ritorni: una sorta di viaggio al passato, nel mio immaginario. 18 miglia è la forma che ho dato ai miei ricordi pendolari, ai miei paesaggi. Questo progetto è stato un ripercorrermi, un riscrivere il mio diario di bordo. Ho raccolto le visioni stratificate negli anni e all’interno di queste visioni mi sono (finalmente) cercata, come in un autoritratto datato. Sono andata in profondità, pur viaggiando a galla, in superficie, muovendomi nella dimensione che preferisco: quella del viaggio. Ovviamente tutto questo non sarebbe stato possibile senza LAB e senza Antonio Biasucci. Non avevo mai affrontato così seriamente la fotografia e forse non avevo mai affrontato così seriamente nemmeno la parte più intima di me.
È un sollievo fare questa chiacchierata a distanza, mentre percorro una distanza. Sono timida e dal vivo ci avrei messo molto ad abituarmi alle domande di un estraneo.

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Così seriamente?

18 miglia, 55 minuti, mi piacerebbe approfondire questa dimensione spaziotemporale. Cosa rappresentano per te questi viaggi, questi ponti con la terraferma?

Ovviamente è un “seriamente” relativo, non assoluto. Puoi pensare di capire il mondo “di fuori”, ma alla fine, forse, bisognerebbe iniziare dal mondo “di dentro”, tutto qui.

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Da un punto di vista tecnico e della resa mi è piaciuta l’idea di fotografia attraverso il vetro e il gioco di rimandi con la macchina fotografica. Mi sono piaciuti gli esiti, quasi pittorici. Risfogliando il catalogo c’è un’immagine che mi cattura sempre, quella in cui il mare, color blu di Prussia, ha una vivacità incredibile. In un’altra foto mi sembra di rivedere la tecnica e il sentimento di Turner. In molte altre il tuo sguardo sembra soffermarsi su imbarcazioni che vagano, avvicinandosi in modo quasi invadente. Altre imbarcazioni in altre foto sono più lontane, come miraggi sul deserto del mare. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi a tal proposito.

Chi vive su un’isola, inevitabilmente convoglia lo sguardo sul mare. Il mare ne è il fulcro: la visione è sempre legata all’orizzonte, un orizzonte continuo, consolatorio. Percorrere la distanza (spaziale e temporale) che ti separa dalla città, dal mondo “vero”, è sempre un momento di sospensione e separazione. Quando decidi dove sederti, in aliscafo o in traghetto, decidi anche cosa vedere, cosa salutare e cosa accogliere. A sud c’è il mondo dell’instabile, a nord la penisola. 18 miglia è l’unità di misura dei miei viaggi interiori. 55 minuti il tempo dei miei pensieri, dei sogni e delle visioni, dei ricordi e dei racconti, reali o inventati. Percorrerli significa anche dare una misura al mio vedere e alla mia idea di paesaggio (o di ricerca di un paesaggio), trovare una via per guardare tutto il resto. Appena iniziato il progetto ho pensato che il viaggio isola-terraferma rappresentava il grado di labilità tra me e la mia stabilità. Quel tratto di mare è un luogo, forse un rifugio per i pensieri. È così una sensazione più che un percorso.

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Questo progetto per me ha rappresentato un punto di partenza. Quando nell’autunno del 2012 ho dovuto decidere da dove cominciare questo percorso, era per me un momento di precarietà assoluta. Decidere di ri-stabilire un ordine partendo dal “mio” viaggio è stata una presa di coscienza sul mio percorso personale.
La scelta di un filtro attraverso cui guardare è stata quasi obbligatoria. Chiunque viaggia via mare sa quanto è potenzialmente fastidioso il vetro sporco. Per me invece il filtrare l’immagine attraverso qualcosa (un vetro, una tenda, un ricordo, un sogno) è sempre stato un esercizio sul guardare. Mi piace pensare di avere la salsedine negli occhi anche se in realtà è solo e semplicemente miopia.

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A mano a mano che il lavoro andava avanti (continuo a risponderti tra un cambio e l’altro del treno) si sono delineati i personaggi che lo popolavano. Mi sono accorta che il mio sguardo si fermava sempre sugli stessi elementi, miei punti di riferimento: ovviamente acqua e luce sono i protagonisti assoluti, ma c’è poi tutto il mondo delle grandi navi dai nomi mitici e le loro sembianze spesso di animali. Le imbarcazioni diventano presenze, si confondono con la costa e i promontori e viceversa, diventano balene e grandi fauci o solo tracce di un passaggio, dei silenzi. Sicuramente per questo lavoro ho attinto inconsciamente a tutta la storia del paesaggio e del paesaggismo e ai grandi romanzi di viaggio… ma anche se ha rimandi quasi pittorici, ho provato a mantenerlo fortemente fotografico.

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I rimandi pittorici che vedo non li intendo in maniera negativa: mi piace la consistenza dei tuoi mari, mi piace il sentimento e il senso di indefinito che sento quando guardo le tue foto. Le tue 18 miglia, i tuoi 55 minuti per me rappresentano quasi una metamorfosi. Si tratta del tempo e dello spazio del viaggio, è il momento e il luogo in cui tu (io), attraverso l’attesa, attui una trasformazione. Ti sincronizzi, liquida, con la dimensione della vita, fra un luogo e un altro, proprio perché sei fra due mondi, dall’isola alla terra ferma, dal mondo esteriore a quello interiore. E la tua fotografia secondo me si sofferma su questo sentimento: dall’acqua al cielo, dai promontori alle navi, tutto comunica il sentimento dell’attesa. E le rarefazioni del vetro per me rappresentano il parallelo tuo sguardo interiore. Cosa ne pensi?

Esatto! L’attraversamento dell’attesa. Mi piace molto il concetto. Non avevo mai pensato alla metamorfosi, ma mi sembra tu abbia colto in pieno. O, almeno, è una lettura che sento molto vicina.

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Oggi da dove sei partita e dove sei diretta? I tuoi progetti per il futuro?

Sono partita da nord-est e sono diretta a sud-ovest: percorro la diagonale del mio cuore. Progetti per il futuro: continuare a vivere, a guardare, a immagazzinare, a percepire spazi, a educare il mio sguardo, a ricercare un’idea di paesaggio… e ad accumulare ricordi e storie (di viaggi e non) sul comodino.

Napoli?

Napoli è la sponda. Arrivarci significa confrontarsi con la grande madre, prima visione dell’approdo: il Vesuvio e dopo tutta quell’acqua e quella luce, ristabilire un contatto con la terra e col fuoco, con la storia, con la materia. A proposito di radici, c’è una frase che amo moltissimo, è una frase di Marx che dice all’incirca: “essere radicali significa andare alla radice delle cose, ma la radice per l’uomo è l’uomo stesso”. Qui c’è il sunto di quello che è Napoli come città e di quello che è stato LAB come esperienza per me. Non so dove mi porterà tutto questo, ma mi basta per fidarmi e continuare. Napoli scava molto in chi la vive.

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Invece, non so perché, quando guardo le tue foto, mi ritorna sempre in mente una frase di Loreena Mckennitt. La cantante dice che abbiamo sempre il desiderio di credere che esista un luogo migliore di quello che ci appartiene. Ho sempre pensato ad un luogo fisico, ma le tue foto mi fanno pensare ad un luogo non necessariamente reale: il mare che ad un certo punto finisce, ma c’è un altro luogo alla fine del mare. Le tue foto per me hanno un segreto profondo, un segreto che ha a che fare con i naviganti, con il letargo e con la trasformazione.
Voci di corridoio dicono che Epifanie proseguirà a Roma. Puoi darmi una conferma?

Sì, il tavolo di LAB sarà riproposto all’interno di FOTOGRAFIA – Festival internazionale di Roma 2014, ma non conosco ancora le date precise.

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A proposito dell'autore

Collaboratore

Laureato in lettere, indirizzo storico-artistico e dei beni culturali, con tesi sul rapporto tra letteratura e fotografia, attualmente professore di italiano e storia in un itc. Appassionato di fotografia cinema e di Mario Bros., di bonsai e tartarughe di terra, di giochi da tavolo e cioccolato. Potenziale accumulatore seriale.