Augusto Massa, Mirabili materiali di_versi: un’analisi di Mimmo Grasso Redazione 5 Aprile 2015 News Pubblichiamo l’intervento di Mimmo Grasso sull’arte di Augusto Massa in occasione della mostra personale con letture di poesie Mirabili Materiali Di/Versi tenutasi nei suggestivi spazi della Piscina Mirablis di Bacoli il 4 gennaio 2015. Credo sia intuitivo il senso del collazionare la materies (la materia, cioè la corteccia dell’albero, da cui mater) e che sia chiaro il rinvio al legno utilizzato da Augusto Massa per le sue istallazioni. Alla concretezza dei lavori di Augusto fa da pendant, oggi, la leggerezza della parola in versi; entrambe si incontrano in un contenitore suggestivo, la Piscina Mirabilis, e trasmutano in quell’elemento che è materia e leggerezza insieme, cioè l’acqua che, a sua volta, è metafora della voce che, qui, permane come eco, tocca la propria metafisica, cioè il disparire del dire nel momento stesso in cui viene detto e che permane come eco (o idea di un’eco) che, a sua vola, si oggettiva nei segni di Augusto, sui quali mi soffermo. Questi oggetti appartengono alla rigatteria del fantastico e parlano tra loro con la sintassi degli oggetti. Tra poco ascolteremo il ronzare delle voci dei poeti riempire le volte di questa cattedrale dell’acqua come oracoli (ma si tratta di un atteggiamento oracolare che riguarda il già vissuto, come è tipico degli oracoli – intendo la rimodulazione dell’esperienza) mediante la loro tipicità espressiva neuromotoria, i versi (dunque ancora qualcosa che implica un flusso, una liquidità solidificata nelle figurae della Sibilla custodite sotto campane di vetro e lì invecchiate, con evidente riferimento alla storia narrata nel Satyricon). Percepisco il borbottio di risacca delle voci adagiarsi alla base dei pilastri e so che mi bagnerò i piedi. Conosco la ricerca di Augusto e so che seguirlo è come passeggiare a Tlon, la captale dell’Orbis Tertius, o nell’isola di Pasqua o a Ebla tra migliaia di tavolette d’argilla. Augusto è, infatti, un archeologo dei meme, le unità di produzione culturale che si autopropagano geneticamente, il che implica sia un approccio cognitivo che un intenso lavoro sull’evocatività. Per “sintassi degli oggetti” intendo proprio questo: l’evocatività, una modalità della mente non proattiva od organizzatrice ma che, sollecitata dalla visione delle cose, si ascolta ascoltarsi fino a sorprendersi come oggetto di conoscenza; ciò significa, nello specifico di Massa, partire dalla storia per destoricizzare, ambire al simbolo, a elementi iconici senza tempo anche se, paradossalmente e ovviamente, i suoi lavori rinviano al mare, l’elemento che più di tutti è analogia del tempo-movimento; si tratta di oggetti-relitti del ricordo e e insieme della prospettiva di un loro riutilizzo che non abbia a che vedere con la funzione d’uso quotidiana. Si noterà, credo, che Augusto non rappresenta figure umane. In verità tali presenze ci sono: siamo noi come parte necessaria delle opere, anche perché senza un osservatore non c’è né reale né fantastico e ci poniamo in relazione con le istallazioni consapevoli del gioco dell’inganno, necessario perché senza inganno la realtà è insicura. Le domande che ci si pone entrando nel mondo di Augusto Massa sono queste: perché restaurare –p. es. – un remo rotto (che non può, dunque, essere più usato)? Che senso ha questo restauro, tra l’altro sottolineato dai materiali, dalla tecnica usata, dal porlo su un piedistallo o altare? Che senso ha intarsiare una pagaia? È, chiaramente, una procedura magica come dipingere la parete di una grotta (questa Piscina, oggi) e lì compiervi riti di trance (ecco l’evocatività) e sentirsi criniera, zampa, nitrito, colore, onda, argonauta e astronauta della preistoria. Stamane ho cercato Augusto per chiedergli quanti pezzi avesse intenzione di esporre. Mi ha comunicato che, per motivi vari, burocratici, è stato costretto ad accantonare i pezzi sotto l’arco delle scale. Benissimo: questo fa molto più rigatteria, cantina, ripostiglio, e, poeticamente, non è indifferente scendere le lunghe scale che introducono alla piscina senza sapere ciò che si trova sotto l’arcata e avere poi la sorpresa, unhemliche, perturbante, di incontrarsi coi propri archetipi né è indifferente salirle sapendo che sotto c’è il proprio ignoto, un po’ come Gaston Bachelard quando dice che se udiamo un rumore in soffitta ci armiamo e scendiamo in cantina. Altresì, non posso non immaginare che questi relitti (relitto è ciò che resta, un resto) siano stati ammonticchiati alla rinfusa come fa il mare sulla battigia quando porta a riva, alla Montale, “sugheri, alghe, asterie,/le inutili macerie dei tuoi abissi”. Le opere di Augusto Massa ci invitano a ripercorrere i nostri processi creativi per rimettere a posto lari ancestrali in un’azzurra edicola della mente, là dove segno-sogno-senso sono generati da un’unica forza che potremmo chiamare “intelligenza emotiva”, grazie al cui contagio l’essere è l’esser-già-stati e la prospettiva si trasforma in retrospettiva ma con l’aura della serenità e del compiuto perché gli oggetti, nel porsi come emblemi, e proprio perché non servono più, rimangono in se stessi atemporali, si connotano di gratuità, di “grazia”, lasciano lo statuto democratico delle definizioni plurali e passano nel regno monocratico del mito. É solo per il lavoro di artisti come Augusto che è possibile recuperare al nostro patrimonio umano e comportamentale i Campi Flegrei per i quali è da molti decenni un mito che siano la terra del mito. Guardiamo a lungo i remi così limpidi, puliti,”restaurati” nel loro essere “remi” ed è appena il caso di sottolineare che “remo” ha radice sanscrita “arit-ràs”, ritmo, scansione. Vi invito a scandire con il battito degli occhi un remo, a navigare all’interno dei suoi significati: esso vi apparirà a ogni battito di ciglia ora come oggetto noto ora come sconosciuto, sacro, vale a dire come un elemento della struttura della coscienza e non un momento della storia della coscienza. L’esperienza del sacro è indissolubilmente legata allo sforzo compiuto da Massa per costruire un mondo flegreo che abbia di nuovo significato (la rimodulazione e l’oracolarità di cui parlavamo, per cui il remo porta al remoto). Si sa che le ierofanie e i simboli, specie quelli religiosi, costituiscono un linguaggio preriflessivo (e si torna, così, all’intelligenza emotiva). Il sacro, proprio perché preriflessivo, ha sempre qualcosa di pauroso: non a caso Ulisse troverà riposo quando approderà, col remo in spalla, su un’isola i cui abitanti non conoscono il remo e, conosciutolo, ne avranno timore perché il remo comporta il passaggio dalla terraferma dell’essere al mare degli enti. Ed ecco allora che ciascuno, guardando gli oggetti sotto l’arcata, si comporterà seguendo una personale pulsione e li vedrà o come in riposo, mansueti e stanchi dopo traversate di secoli, o, sospinto dal calco di mani antiche sull’impugnatura, in attesa di essere afferrati e subito utilizzati per una nuova navigazione. Già. Ma verso dove? Se immergo un remo nell’acqua del mare, ne esce bagnato e salso. Questi remi sono colorati e, dunque, se ne inferisce che il mare nel quale sono stati immersi è un mare tra virgolette, è il mare del fantastico, della materia onirica e protostorica. Per vari aspetti sono inquietanti come un dubbio, rappresentano l’instabilità nel consesso sociale consolidato sulla zolla. Non so da quale parte giunga adesso questo afrore di cetaceo: l’ombra di Moby Dick attraversa, mirabile, le pareti della Piscina e diventiamo tutti marinai del Pequod. Nella chincaglieria sotto l’arcata ci sono un bambino con le caviglie alate che scambia doppioni di atomi con un vecchio Democrito, che ripercorre al contrario i clinamina che hanno generato le forme di Augusto. Ho citato l’essere come terraferma, zolla, certezza (e pregiudizio) contrapposto, ontologicamente, al mare degli enti (il dubbio e l’inquietudine del giudizio che comporta la conoscenza) e visualizzo un’imbarcazione con la vela quadrata affiancata da un’altra a vela latina, dipinta coi colori di Augusto. Normale che affiorino, evocativamente, dal mio vecchio baule questi versi: alla vela latina a lungo ho navigato per il mare degli enti inseguendo l’istinto della vela adatta a calcolare ipotenuse, il vento che scrive sulle rocce il suo “chi sono”. le voci di sirene della siria,¹ il rib-rob-roab di scilla e cariddi ² non furono più alte del suo canto. cirripedi e molluschi hanno la tana nel suo mutismo. da lei ho ereditato scocca antenna scarroccio. ora sta lì priva di scotte e drizze, legamenti, arrotolata in quiete d’incerate. lo scafo ha perso la deriva ad ala. sono tornato all’essere, ben saldo e coi piedi a terra – tra noi soffia un’intesa leggera e ora mi devo zavorrare le tasche di paura per non volare. Mimmo Grasso ¹l’icona della sirena è originaria della Siria ²rib-rob-roab è il rumore dei due mostri marini come inteso da Emilio Villa nella sua traduzione dell’Odissea. bio dell’artista Augusto Massa nasce a Bacoli nel 1951. Termina gli studi all’accademia di belle arti di napoli nel 1973. Ha insegnato “discipline plastiche ed educazione visiva” dal 1976. Espone in personali e mostre di gruppo dal 1968. Nel corso degli ultimi anni ha esplicitato, con una paziente ricerca e con riflessioni compositive, la reciproca contaminazione tra scultura e pittura, superando il discrimine, ormai sempre piu’ labile, tra le due discipline. Una sapiente manualità governa materiali eterogenei che sono supporto e sostanza delle sue opere, coniugando fitte incisioni e morbide stesure di colore sui manufatti, ed elaborando un repertorio di segni che rimandano, senza allusioni nascoste, al mondo flegreo, dove miti,simboli, paesaggi si sono sedimentati in una rigorosa geometria di enigmi e la frizione tra passato e presente si ricompone nel tentativo di ingannare lo scorrere del tempo. Nelle opere piu’ recenti, la parola o il testo poetico diventano “cose” da accudire con affettuosa tenerezza, e assurgono a frammenti rarefatti, ma nello stesso tempo inviolabili. Per info sull’artista visita il sito web http://www.augustomassa.it/