Conversazioni, Andrea Viliani: io direttore “napoletanizzato” del Museo Madre

Una veloce conversazione con Andrea Viliani, direttore generale della Fondazione Donnaregina e del Museo Madre di Napoli. Classe ‘73, approda al Museo partenopeo dopo importanti incarichi svolti presso prestigiosi musei italiani (Castello di Rivoli-Museo d’Arte Contemporanea, Mambo e Fondazione Galleria Civica-Centro di ricerca sulla contemporaneità a Trento, di cui è stato direttore) e numerose collaborazioni con istituzioni, gallerie e artisti internazionali.

Andrea Viliani

Andrea Viliani – foto di Amedeo Benestante

Andrea Viliani, sei a Napoli dal 2012. A tre anni di distanza dall’incarico quali miti su Napoli sono da sfatare e quali ti senti invece di confermare?

L’incontro fra me è Napoli è stato quello di due personalità differenti, affascinate l’una dall’altra. Lavoro e vivo nel cuore della città e dopo tre anni posso a tutti gli effetti definirmi “napoletanizzato”. Fra ciò che ho riscontrato rispetto a quanto si crede fra chi non conosce la città, c’è il fatto che a Napoli succedono molte più cose di quelle che si suppongono: c’è un rapporto con la cultura che è millenario, e l’arte qui è sempre stata contemporanea. Contrariamente a quanto si pensa, il pubblico napoletano è un pubblico curioso e preparato. La critica che mi sento di sollevare riguarda invece la capacità di comunicare e di promuovere il territorio e le risorse e la capacità di fare rete. La Fondazione Donnaregina, in quanto istituzione pubblica, fa della volontà di fare rete una missione istituzionale, attraverso una serie di azioni importanti quali il “Matronato” (patrocinio gratuito ad alcune mostre o eventi particolarmente significativi, ndr), “Progetto XXI” (sponsorizzazione di attività che hanno permesso di stringere relazioni forti con la “Fondazione Morra Greco”, con la “Fondazione Morra /Museo Nitsch”, il “Plart” e “Artecinema”, ndr) e cercando un continuo dialogo con le Università e le Accademie, attraverso incontri con gli studenti ospitati all’interno degli spazi del Museo. In quest’ultimo anno di attività inoltre abbiamo puntato anche sul dialogo e una collaborazione fattiva con i Musei di Via Duomo per la creazione de “La via dei Musei”, una rete che collega tutti i Musei della zona (sono sette le istituzioni museali: http://www.madrenapoli.it/eventi/la-via-dei-musei/ – ndr.) e che prevede eventi sincroni e attività comuni. Il fine ti tutto ciò è quello di arrivare concretamente alla creazione di una “Campania del Contemporaneo” che sia un vero e proprio “Museo Aperto”, patrimonio della collettività.

L’ultima mostra inaugurata al Madre è “ Io non sono io”, dell’ucraino Boris Mikhailov, artista che ha trovato nella fotografia il suo modo di ribellarsi al regime sovietico. Come credi che il messaggio di questo artista si collochi in un contesto sociale e politico come il nostro?

La mostra di Boris Mikhailov è stata il frutto di una scelta e di un lavoro sinergico svolto tra realtà internazionali, polo museale (e nello specifico la “Casa della Fotografia” di Villa Pignatelli) e il Museo Madre. La parola guerra è entrata a far parte purtroppo dell’ambito domestico e l’arte ci avvicina al concetto, insegnandoci come reagire alla guerra, alla crisi economica e democratica. Nello specifico il lavoro di Boris si incentra su come si convive da artista in un ambito di censura artistica, ma anche, più in generale, ci indica un modo di reagire alle storture. Il contatto con Napoli, con la tradizione e la storia napoletana, è stata ricercata dallo stesso artista fin dalle decisioni sull’allestimento. Proprio in base a questa volontà si è deciso di creare un link fra il barocco napoletano e l’opera di Boris. I corpi in disfacimento, i volti segnati dalla miseria e dai patimenti che si ritrovano nel barocco di Jusepe de Ribera (conosciuto in Italia come lo Spagnoletto: https://it.wikipedia.org/wiki/Jusepe_de_Ribera – ndr.) si scorgono nei volti delle persone fotografate da Boris. Il fine è quello di ritrovare delle radici spirituali ed emozionali che attraversano il tempo e lo spazio, radici che sono eterne e parlano a tutti.

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Il tema di arte accessibile a tutti è oggi più che mai attuale. Street art, artisti che lavorano su spazi pubblici e cittadini rendendoli parte dell’opera, per non dimenticare la tanto ammirata Metropolitana dell’arte. In tale contesto, qual è la responsabilità dell’artista? Arte pubblica deve necessariamente coincidere con il concetto di arte per il sociale?

L’arte pubblica rimane arte. Ciò su cui è bene lavorare, nel momento in cui un artista decide di confrontarsi con il pubblico è che il rapporto fra opera, ambiente e comunità deve essere armonioso, non ci deve essere prevaricazione o imposizione perché sarebbe una sfida persa in partenza, a Napoli più che in qualsiasi altro posto. Gli artisti che decidono di vivere a Napoli, anche non napoletani, sono numerosissimi, fra i motivi di questa scelta ci sono proprio gli stimoli che traggono dal confronto con la città. Quando si lavora su questo territorio bisogna avere le idee chiare perché Napoli è una città che non può essere data per scontata, ricca di contraddizioni, a partire proprio dal nome: Nea-polis. Usando il greco, la lingua classica per antonomasia, affermi la contemporaneità del luogo. Nessun nome sarebbe mai stato più adatto a questa città.

 

A proposito dell'autore

Project Manager

Alla formazione scientifica (studi in Medicina Veterinaria, prima in Inghilterra e poi in Italia) unisce l'insana passione per l'arte e la letteratura. Dal 2012 collabora con la casa editrice Marchese editore, occupandosi di pubbliche relazioni, promozione e creazione di eventi culturali. Nel 2013 fonda con alcuni collaboratori il blog "About M.E.", legato all'attività della casa editrice ma fin dall'inizio aperto a tutto ciò che è cultura, con particolare attenzione a ciò che succede sul territorio campano. Ama i cappelli, Dostoevskij, e il té delle cinque.