A Cervinaria quattro artisti esplorano “la forma del racconto” Chiara Reale 31 Agosto 2015 News “Memoria, non accaldarti! Diventa tutt’uno con me. Credi e convincimi che sono con te una sola cosa”. Così scrive Boris Pasternak in merito al ricordo e all’ossessione dell’uomo di carpirlo, catturarlo, cristallizzarlo, racchiuderlo in una qualche confezione, contenitore, ampolla, bottiglia. Questo è ciò che tentano di fare, in una eterogenea chiave artistica, gli autori coinvolti nell’ambito del progetto Cervinaria – La forma del racconto. In occasione dell’edizione 2015 di “Cervinarte Festival”, a cura della Pro Loco di Cervinara ‘A. Renna’, Cervinaria. La forma del racconto è la sezione dedicata all’arte contemporanea. La collettiva, le cui opere si inseriscono in un percorso espositivo che si snoda attraverso gli spazi delle ex cantine e delle scuderie del Palazzo Marchesale, riunisce il lavoro e l’esperienza di Gianmarco Biele, Vincenzo D’Argenio, Flaviano Esposito e Valentina Argia Socievole, avvalendosi della curatela di Luciana Berti e Mario Francesco Simeone. Inaugurata lo scorso 22 agosto, la mostra sarà visitabile fino al 5 settembre 2015, negli ambienti dello storico Palazzo Marchesale di Cervinara. L’esposizione è stata però solo la conclusione, l’estroflessione di un percorso di conoscenza e condivisione svolto dagli artisti durante una residenza laboratoriale vissuta nel paese avellinese, percorrendo le sue strade, sostando nei suoi luoghi di ritrovo e, soprattutto, interagendo con gli abitanti, nel tentativo di carpirne le memorie, le suggestioni, le nostalgie e trasformarli in un percorso attraverso cui approdare a una più sensibile percezione del presente. Testimonianze materiali si uniscono al racconto, quasi fossero fatti della stessa sostanza, quasi fossero nella documentazione l’uno il prosieguo dell’altro. Il ricordo è dunque rivissuto, ma in una prospettiva del tutto diversa, secondo un codice artistico che rimanda continuamente alle esperienze temporalmente successive. I giovani artisti si addentrano in un labirinto tortuoso, dalle alte pareti, dai pavimenti cedevoli, tentando di trovare una risposta alla disordinata velocità nella società odierna, in cui tutto accade e si trasforma, sforzandosi di resistere, senza tuttavia negarsi, alla invasione degli oggetti, della tecnologia e del superfluo. Con questo loro lavoro, che non è una risposta ma un modo di porsi delle domande, entrano in punta di piedi in una stanza che è in realtà il buco nero in cui il tempo si renda percepibile, dandoci la sensazione, completamente inconcreta, di averlo finalmente catturato.