Nicola Bertellotti: rivelazione al Vintage Festival di Padova Laura Galloppo 4 Ottobre 2016 News La bellezza della rovina nella sua pura luce interiore, allontanata da accuse sociali, moralismi o percorsi storici. Decaduta ma bella. L’opera di Nicola Bertellotti, fotografo di origine lucchese classe ’76, resta in mente perché è semplicemente magnifica. La sua recente mostra che si è tenuta in occasione del Vintage Festival di Padova lo scorso 9-10-11 settembre, ha rivelato agli occhi degli oltre 53.000 visitatori un talento fotografico. Nicola Bertellotti – “A rebours” L’evento – che da sette edizioni “sveglia” la città di Padova dal torpore estivo e la rende fulcro di creatività e contaminazioni classico-contemporanee – è sempre di più in grado, di creare una forte aggregazione creativa allineata alle principali tendenze internazionali, di rendere palesi nuovi trend nell’ambito della moda contemporary retrò, del design e della comunicazione. Vasto il programma espositivo che ingloba anche la fotografia tra i linguaggi contemporanei. Candida Hofer – Real Sitio De San Lorenzo De Escorial – 2006 Davanti ad una serra liberty in vetro e ferro completamente distrutta e abbandonata, si prova la stessa sensazione che genera una fotografia impeccabile di Candida Hofer, la celebre fotografa tedesca conosciuta per le foto di larghe dimensioni e completamente “svuotate” da qualsiasi presenza umana. Se la Hofer ritrae tutto nella sua perfezione più alta, Nicola Bertellotti lo fa nella loro condizione peggiore. Spazi distrutti, abbandonati, dimenticati, decadenti. Ma la sensazione di pace, calma, immobilità e dunque bellezza è la stessa. È come una faccia della stessa medaglia, senza poterne scorgere la storia senza poterci chiedere perché quella carrozzina per bambini (come in “Leftover” o “Child’s play”) è stata lasciata lì in primo piano, senza nessuno che venga a richiederla. Nessuna presenza umana nelle sue foto, ma tracce di uomini, storie, produzioni, azioni. Vecchie fabbriche dismesse, ospedali che si piegano su se stessi, calcinacci e vernici scrostate protagonisti di quasi ogni scatto. L’artista lucchese viaggia per il mondo dove trova materiale utile alle sue ricerche e lì ci include in quelle scene immobili, ferme in un istante di cui non sapremo molto di più di quello che i nostri occhi vedono e le nostre sensazioni assaporano. Il giovane Bertellotti si è avvicinato alla filosofia di John Ruskin, storico letterato e critico d’arte britannico, contrario all’idea di restauro inteso come intervento di sostituzione della copia all’originale. Luis stesso cita Ruskin Il cosiddetto restauro è la peggiore delle distruzioni (da Le sette lampade dell’architettura, Jaca Book, Milano 1982). Nicola Bertellotti – Childs play “Secondo la sua interpretazione – si legge su wikipedia – era impossibile restaurare in architettura in quanto sarebbe stato come risuscitare i morti, prerogativa solo divina. Restaurare quindi avrebbe voluto dire mentire, annullare la memoria dei monumenti, copiare. I cambiamenti di proprietà e di uso e le modificazioni materiali non dovevano influire sull’opera; modificando uno di questi aspetti, si sarebbero modificati tutti gli altri, oltre che all’opera stessa”. Il valore di antichità e di autenticità di un’opera era data secondo Ruskin tramite la “patina” che la ricopriva, segno del tempo che testimoniava la sua vita e la sua individualità materiale. Quella stessa “patina” così a lungo sedimentata nei luoghi vissuti da Bertellotti che rendono la sua fotografia così sinestetica, e dannatamente glamour.