Simone Donati (fiorentino, classe ’77) è uno dei più interessanti fotoreporter del panorama italiano e non solo. Autore di celebri scatti, pubblicati da alcune delle maggiori riviste nazionali e internazionali (“L’Espresso”, “Le Monde”, “Newsweek”, solo per citarne alcune), con il suo lavoro ha documentato momenti importanti della recente storia politica e sociale del nostro Paese. Fa parte del collettivo “TerraProject Photographers” e ha recentemente pubblicato il volume “Hotel Immagine”, attraverso il quale ha ripercorso, in parte, gli ultimi cinque anni della sua carriera, ritraendo momenti di fede collettiva raccolti durante un viaggio che lo ha visto attraversare lo Stivale in lungo e in largo.

Al secondo appuntamento del ciclo di incontri organizzato dal “Centro di Fotografia Indipendente” negli spazi di “Ex Asilo Filangieri”, abbiamo avuto occasione per intervistarlo.

Partiamo da te. Cosa ti ha spinto verso la fotografia?

Il mio è stato un percorso soprattutto didattico. Ho seguito prima un corso breve, di tre mesi, quindi, uno triennale, allo “Studio Marangoni” di Firenze. Interessato al reportage, mi sono dedicato a quel tipo di fotografia e al rapporto con i magazine nazionali ed esteri, a cui di volta in volta ho proposto delle storie e con cui ho cominciato a lavorare su commissione. È stato un percorso piuttosto lungo, cominciato tra il 2006 e il 2007, alla ricerca di contatti e di collaborazioni.

Simone Donati

Torretta (PA), giugno 2013. I festeggiamenti per l’elezione del nuovo sindaco.

Con i tuoi scatti hai contribuito al racconto mediatico della contemporaneità italiana e non solo. Quanto ti senti (e ti sei sentito) libero nel tuo lavoro?

Non ho mai avuto nessun tipo di problema da questo punto di vista. Neanche per i lavori su commissione. Certo, difficilmente sono stati pubblicati gli scatti che preferivo, ma questo aspetto è parte del mestiere: o lo accetti o non lavori in quell’ambito. A me però non interessava tanto la sola pubblicazione, che certo è una soddisfazione, quanto la possibilità di mettere insieme una disponibilità, anche economica, tale da poter sostenere un progetto più ampio: quello che poi qualche anno dopo è diventato “Hotel Immagine”.

 

Quindi la sua realizzazione era in gestazione da tempo…

Quando ho condotto il lavoro sulla campagna elettorale di Berlusconi non avevo ancora il progetto in mente. L’idea si è definita dopo un reportage che avevo realizzato per la rivista “Vanity Fair” a San Giovanni Rotondo, sul culto di Padre Pio. In quel momento ho pensato di realizzare una pubblicazione concepita in capitoli e individuare le varie forme di culto che intendevo rappresentare: dalla politica, allo sport, allo spettacolo, alla religione.

Simone Donati

Predappio (FC), aprile 2012. Nostalgici riuniti al cimitero di San Cassiano per l’anniversario della morte di Benito Mussolini.

Nasce così “Hotel Immagine”, pubblicazione uscita a maggio, autoprodotta. Alla luce dello stato di salute dell’editoria oggi, viene da chiedersi chi te l’abbia fatto fare…

Credo che l’espressione più alta per un progetto fotografico sia ancora il libro. Perché si tratta di qualcosa che rimane, che puoi prendere, sfogliare, toccare. Certo, ci sono progetti che magari funzionano meglio in un’esposizione, però per la sua attuazione, l’idea di “Hotel Immagine” era proprio quella di creare questo volume (Un breviario che racconta quell’ “imprinting cultuale” che caratterizza l’italianità, l’innata tendenza a sacralizzare ogni ambito della vita e a farne un mondano totem, ndr). Il lavoro è stato sviluppato tra il 2009 e il 2015. Una volta finita la parte fotografica ho cominciato a progettare il libro, decidendo di autoprodurlo, perché non avevo trovato un editore. Confesso, però, di non aver insistito molto. Con un grafico ho pensato al design della pubblicazione e poi sono passato alla fase successiva, rivolgendomi a una stamperia di Bolzano. Da maggio ho infine cominciato con il tour di presentazione, anche nei festival dedicati, in Italia ed Europa.

Simone Donati

Brindisi, ottobre 2012. Una donna sviene nel giardino dove da tre anni il veggente Mario D’Ignazio ha un’apparizione il quinto giorno di ogni mese.

Che tipo di feedback hai registrato?

Ho ricevuto un buon riscontro, sia in termini di vendite che di recensioni. Non si tratta soltanto di un libro fotografico ma di un progetto, che raccoglie testi (la postfazione è dello scrittore Daniele Rielli e nel libro sono riportati stralci di commenti estrapolati dai social network) e una grafica concepita ad hoc. Ovviamente, però, la preponderanza è data all’immagine fotografica. Sempre più, invece, vedo in giro pubblicazioni che sono “pacchetto”, dove la parte del design e del marketing sovrastano l’idea fotografica.

C’è qualcosa che ti recrimini rispetto al lavoro realizzato per “Hotel Immagine”, magari aspetti che avresti voluto sviluppare diversamente, altri che avresti voluto inserire?

Sicuramente ci sono dei capitoli che sono sviluppati meno. Penso, ad esempio, alle sezioni su musica e sport o sullo spettacolo, su cui avrei potuto lavorare di più. Avrei voluto assistere a uno dei programmi di Mediaset, ma è stato impossibile trovare accesso a una trasmissione. Non c’è qualcosa di cui mi recrimino, perchè sono soddisfatto del lavoro nel complesso. Forse avrei potuto aspettare, magari ancora un anno, ma mi ritrovavo a vedere replicate sempre le stesse scene e a quel punto ho capito che era necessario fermarmi.

Simone Donati

Roma, febbraio 2013. Silvio Berlusconi fotografato da un fan mentre lascia lo studio del programma televisivo “Ballarò”.

Nel libro è raccontata la liturgia fascista, ma è totalmente assente la rappresentazione del culto di personaggi legati alla sinistra…

Mi è stata già fatta notare quest’aspetto. Nel periodo in cui ho realizzato il lavoro credo che fosse già passato il momento d’oro di una certa sinistra. Penso ad esempio a quella delle feste dell’Unità. Durante la realizzazione di “Hotel Immagine” mi sono focalizzato sulla ricerca di aspetti particolari, ritrovandomi in situazioni in cui soprattutto venivano fuori il kitsch. Nella sinistra non ho mai trovato una situazione tale da essere ritratta. Durante la campagna elettorale ho seguito a lungo anche il PD e Renzi, ma pure in situazioni che potevano essere considerate simili, non si è mai arrivato ai livelli di Berlusconi.

C’è un momento, durante la lavorazione di “Hotel Immagine”, in cui hai sentito di trovarti di fronte a un evento veramente sacro?

In realtà ho trovato il sacroin tutto e niente di quello che ho visto. Ero lì come fotografo, come una persona esterna che cercava di cogliere e analizzare quegli avvenimenti attraverso la macchina fotografica. Da un certo punto di vista tutto era sacro: dalla ragazzina che è al concerto di un neomelodico, alla signora che recita il rosario davanti a Padre Pio o si strappa i capelli davanti a Berlusconi. Dipende molto da come certi fenomeni vengono interpretati. L’importante però è farlo, andandoli prima a vedere. Non è un discorso che si può fare a priori.

Simone Donati

Roma, maggio 2013. Il pubblico del programma televisivo “Mezzogiorno in famiglia” del canale nazionale Rai Due.

Che idea ti sei fatto in merito? Credi si tratti di follia collettiva, necessità di uscire dall’individualismo o altro?

L’idea che mi sono fatto è che la gente è interessante, perché molte sono le cose da vedere. Quello che emerge è che c’è molto bisogno di ritrovare un’identità attraverso qualcuno. Di vedere in quella persona una speranza, o la realizzazione di un sogno.

Di recente sei stato a Parigi per il “Polycopies”, salone del libro francese. Hai avuto modo di fermarti al “Paris Photo”? Che idea hai dei festival, così come dei premi, dedicati alla fotografia?

Si, il “Polycopies” si è svolto durante il “Paris Photo”, che ho visitato per poche ore, perché a causa degli attentati è stato fermato tutto. I festival sono una bella occasione di incontro e di condivisione anche di progetti. Sono un modo per sondare cosa succede nel mondo della fotografia. Un altro discorso è quello intorno ai premi: alcuni sono delle belle vetrine, altri un business.

Simone Donati

Scarperia (FI), maggio 2014. Un tifoso durante la festa la notte prima del motomondiale all’autodromo del Mugello.

Fai parte di “TerraProject Photographers”, un collettivo di fotografi documentaristi che impegna anche Michele Borzoni, Pietro Paolini e Rocco Rorandelli. Credi costituire una propria agenzia sia l’unico modo per mantenere un’ autonomia professionale?

Noi non l’abbiamo mai vista come un’agenzia. Ci siamo sempre definiti collettivo, anche se in Italia la parola fa pensare alle occupazioni universitarie e alle esperienze dei centri sociali. In realtà in Francia e anche in altri luoghi all’estero, i collettivi sono strutture che esistono da oltre vent’anni, e come organizzazioni piccole si sono rivelate una risposta alla crisi delle agenzie. La nostra, ad esempio, ha una struttura molto semplice, orizzontale, in cui ognuno contribuisce alla vita del collettivo, confrontandosi e ragionando insieme agli altri componenti sulle cose da fare. La nostra caratteristica però è un’altra, quella di realizzare lavori collettivi in cui si crea una sorta di quinto fotografo, che è “Terra Project”. L’autorialità singola viene declinata al fine rafforzare il progetto.

Simone Donati

Carpena (FC), ottobre 2012. La camera da letto di Benito Mussolini a Villa Carpena, casa museo della famiglia.

Che impatto ha e ha avuto l’imperativo del digitale nel tuo lavoro?

Ho cominciato con la pellicola, in medio formato e poi necessariamente sono dovuto passare al digitale, sia per i lavori in commissione (per esigenze organizzative), che per i miei progetti. Adesso scatto solo in digitale, anche se sto pensando a un nuovo lavoro in pellicola.

 

Che rapporto hai con la tua città?

Vivo a Firenze da sempre, non ho mai pensato di andarmene. Per il tipo di lavoro che faccio non importa dove sei. Per un periodo ho vissuto a New York, ma in realtà non ho mai sentito il desiderio di andare altrove.

Simone Donati

Firenze, febbraio 2013. La serata di chiusura della campagna elettorale del “Popolo della Libertà” al teatro “Obihall”.

E con Napoli?

È una città che ho sempre attraversato. A dire il vero ci sono stato più che altro intorno. Con TerraProject, ad esempio, abbiamo lavorato sull’emergenza rifiuti a Pianura, o alle falde del Vesuvio. Con il lavoro sui neomelodici, ero soprattutto in provincia. Non ho mai esplorato la città.

 

Simone Donati

Un’immagine dal libro “Hotel Immagine” di Simone Donati