HomeNewsFotogiornalismo, Erased: reportage d’autore di Eduardo Castaldo Redazione 7 Maggio 2015 News In attesa di scoprire la riproduzione della casa-studio del fotografo Luciano Ferrara, che la galleria Tribunali 138 porterà a Reggio Emilia dal 15 al 17 maggio nella sezione Circuito Off dell’edizione del festival FotografiaEuropea 2015, vi raccontiamo l’ultimo progetto espositivo, “Erased” di Eduardo Castaldo, con un reportage firmato da Michela Aprea. Entrare in Tribunali 138, la casa-studio-residenza-archivio del fotografo Luciano Ferrara è un’esperienza estetica pura che coinvolge in toto il corpo e i sensi. Appena aperto il portone di ingresso, dopo una gracchiante e incomprensibile conversazione al citofono (“avrà detto primo piano, chissà?”), l’idea è quella di aver superato, come Alice il varco, e di essere entrati nel mondo delle meraviglie. Una volta calcato il pesante portone, si apre davanti agli occhi il tipico cortile dei palazzi napoletani, siamo ad un palmo dal Monte Pio della Misericordia e alle nostre spalle campeggia il Duomo partenopeo. Ad accoglierci è una Fiat 600 bianca d’antan, un po’ simbolo dello straniamento di cui presto avremmo fatto esperienza, un po’ (in)consapevole segnale, messo lì ad indicare la strada da seguire. L’occasione che ha condotto RACNA Magazine nella residenza del celebre fotoreporter napoletano è la mostra, dal titolo Erased, di Eduardo Castaldo. Una vera e propria antologica dell’autore che ha ripercorso, in parte, la straordinaria carriera del giovane fotoreporter, classe ’77, cominciata nel 2006 con i reportage realizzati nella sua città d’origine, Acerra, mentre divampava la protesta contro l’inceneritore. Da allora il fotografo si è ritrovato al centro di alcuni dei fatti più importanti della storia di inzio millennio: nel mezzo della primavera araba “ero in piazza Tahrir un attimo prima che cominciasse la manifestazione”, così come, dell’incessante crisi israelo-palestinese, negli scontri a Gaza o all’interno delle comunità ebraiche ortodosse. Le immagini in rassegna sono tutte caratterizzate dalla sublime capacità del fotoreporter acerrano di cogliere “bressonianamente” l’attimo ed esaltare simbolicamente il dipanarsi degli eventi consegnandoli alla Storia in una forma diversa, trasformata, evoluta, in grado di dare inesorabilmente vita a icone del presente pronte ad essere riconsegnate – esaltate nel loro valore simbolico – al corso dei tempi. Castaldo però non si priva del gusto di desacralizzare i propri frames, svelando il trucco che si cela dietro le immagini che invadono le nostre case e la carta stampa. Scatti inediti, mai pubblicati (il fotoreporter, premiato nel 2012 al Word Press Photo, vanta collaborazioni con alcune delle più importanti testate nazionali e internazionali da Le Monde a Newsweek, da Der Spiegel a Internazionale), né esposti prima dell’incontro con Ferrara. Interessante e di grande efficacia l’allestimento, realizzato in collaborazione con Giuseppe Tortora. Il viaggio nel “meraviglioso mondo castaldiano” comicia dal salotto, arredato come nel più tradizionale gusto delle case signorili partenopee e adornato di un brulicare di oggetti che richiamano al passato. Sembra tutto perfettamente verosimile, poiché opera del lavoro di “riscrittura” e “riposizionamento” della coppia Castaldo- Tortora. Le cornici così apparentemente omogenee all’ambiente, in realtà sono state rinvenute ad hoc per l’allestimento nei mercatini delle pulci che affastellano la città. L’effetto è di una contiguità con l’ambiente che solo ad uno sguardo attento lascia detonare lo spiazzamento e stordimento sensoriale generato da Erased. Su un tavolino, piccole cornici sembrano riprendere ritratti di famiglia e invece sono i Zabbalin, il popolo dell’immondizia, copti egiziani incaricati di differenziare i rifiuti in quello che è un mega slum e che nelle foto di Eduardo Castaldo trovano un’aura di pace, di quotidianità, di bellezza che nulla farebbe presagire del marcio che li attornia. Di fronte gli scatti, a tratti michelangioleschi, a tratti caravaggeschi, carichi di carne e vita realizzati durante le riprese del film “Reality” di Matteo Garrone. Foto incredibilmente catturate con una 28 mm, come in un reportage fotogiornalistico, già oggetto di una mostra ospitata nel 2012 nel romano palazzo Incontri, di cui nella residenza di Ferrara, viene proposta una piccola rassegna in due tranche. Accanto, le immagini realizzate durante una notte di luna piena nel deserto del Negev, nel 2007. Nelle sale successive le grida dei manifestanti sono coperte, come a dimostrarne l’inanità della protesta alla luce dell’evoluzione delle primavere arabe. In un’altra sala, a rimarcare più che un senso di sconfitta la volontà di archiviarne l’esperienza, troviamo lastre ammassate – testimonianza delle proteste a piazza Tahrir – come consegnate all’oblio di un deposito. L’impressione è che la scelta espositiva sia dettata dalla necessità di superare il lutto per la morte di un entusiasmo, una joie de vivre che ha imperversato in Medioriente durante la stagione delle primavere arabe e di cui l’unico scatto esposto, quello che riprende un writer mentre ritrae il volto di un gendarme, rappresenta il triste epilogo. “Ora l’Egitto è sotto l’egida militare” fulmina con uno sguardo tagliente Eduardo Castaldo, a sottolineare la vacuità di una rivolta che resta, però, un momento dal portato straordinario e tuttora imprevedibile per la storia dell’Egitto moderno e di tutti i paesi dell’area mediorientale. E allora appare proprio come una sfida all’ovvietà il gioco proposto nella sala deposito-archivio concepita da Castaldo e Tortora. In un angolo è presentata un’immagine del “massacro dei tifosi dello Zamelek”, avvenuto nel febbraio del 2015 al Cairo. Ventidue persone trovarono la morte negli scontri tra gli ultrà della squadra cairota e la polizia. Vittima dell’attacco delle autorità il gruppo White Knights, una delle fazioni più politicizzate delle tifoserie egiziane, protagonista delle proteste anti-Mubarak. Ai visitatori della mostra è chiesto di apporre un puntino rosa nel caso in cui ignorassero la vicenda, nero in quello contrario. La prevalenza dei puntini rosa è schiacciante. L’esposizione continua a dipanarsi lungo le sale dello splendido appartamento di Ferrara occupandone ogni anfratto (unica area interdetta, la camera da letto dove lungo la rampa che porta al soppalco sono esposte alcune foto dell’autore partenopeo). Su una parete le immagini del reportage sulla comunità ortodossa ebraica, che “oramai – ci informa Eduardo Castaldo – costituisce il 25% della popolazione israeliana”. In un angolo, un grande monitor si traforma in un lightbox, dove giocare e scavare tra i primi scatti del fotoreporter, “scrollando” con le dita. Una rivelazione le immagini del funerale di Mario Merola, icona di una Napoli trapassata, inesorabilmente fagocitata dall’operazione di distruzione iconica e di riappropriazione, realizzata da Eduardo Castaldo attraverso il progetto Erased. All’apice del processo di rielaborazione “castaldo-tortoriana” troviamo le immagini proposte nella camera oscura. Fotografie reversibili: da un lato l’icona, dall’altro il fatto. Da un lato, il sacro dall’altro il profano, in un’opera che si fa distruzione dell’essenza stessa dell’inganno che sottende la pratica fotogiornalistica. E allora scene di guerriglia urbana a Gaza rivelano il volto di una ricostruzione a tavolino, buona a sfamare l’industria mass-mediale e rimpinguare il newsbussiness. All’intimità della sala da bagno è consegnata la visione di un documentario poetico e struggente, “Mi chiamo Ariton”, sulla vicenda di Ariton Canaj, ragazzo di venticinque anni inspiegabilmente ammazzato dalla polizia italiana durante un posto di blocco tra Siena e Grosseto. I genitori del giovane albanese hanno deciso di intentare causa contro lo Stato italiano nel silenzio assoluto della stampa nostrana sul caso. Eduardo Castaldo, insieme alla giornalista Eva de Prosperis, ha dato vita ad un progetto, di cui il breve documentario è solo un tassello, per sostenere la famiglia di Ariton. È attiva una campagna di crowdfounding e agli spettatori della mostra Erased è stato proposto di lasciare – nel lavandino – il proprio contributo (ulteriori informazioni). Prima di passare alla cucina e completare il viaggio nel “meraviglioso mondo castaldiano”, la visita all’antro: un cunicolo imo, da oltrepassare per ritrovarsi, accompagnati da una candela, in una nuova esperienza estetica. Così, per ammirare le immagini realizzate per Matteo Garrone è necessario avvicinarsi piano alle pareti, cercando l’angolazione giusta e stando attenti all’incombente e fin troppo basso soffitto. Quella che è difatto una cantinola, diventa un luogo in grado di provocare un romantico straniamento, intimo e raccolto, carico di suggestioni sensoriali (l’odore di muffa, il calore dell’inevitabile cera sulle dita, la leggera eco dei suoni e la bellezza stupefacente, viva, carnale, delle immagini di Eduardo Castaldo). A concludere il percorso espositivo, nella terrazza giardino della dimora di Ferrara, l’immagine di Donald, poeta e clochard, compianto animatore del centro storico napoletano, prematuramente deceduto nel 2012. L’uomo, un po’ nume tutelare, un po’ icona sacrale, è ritratto durante la sua apparizione nel film di Matteo Garrone, “Reality”. “Erased” si conclude così, con l’omaggio a quello che è stato il poetico animatore negli anni ’80 di una comune per senza fissa dimora, il museo del somaro, pronta ad essere riproposta dovunque si manifesterà una location adatta ad ospitarne il concept. Tribunale 138, invece, animerè a partire dal 15 maggio la sezione Circuito Off dell’edizione 2015 del festival FotografiaEuropea di Reggio Emilia. E rieccolo, Luciano Ferrara, il padrone di casa, “ospite della sua dimora” durante tutto il mese di esposizione. Un volontario “jesce fora padrone”, un donarsi completo del fotografo che è esaltazione di una disponibilità generosa e di un’intelligenza ancora bramosa – parliamo di uno dei protagonisti della storia contemporanea della fotografia nostrana – di lasciarsi catturare, di incuriosirsi e impegnarsi. “La galleria come luogo e forma espositiva è demodè”, docet, consegnata alla Storia. E allora eccolo Ferrara che, tra le altre, ha immortalato la grande stagione dei movimenti a Napoli, inseguirla la sua rivoluzione, ospitarla, osservarla, lasciarla crescere e andare via, pronto ad accoglierne una nuova.