Tango e Mulieres: Pratt, Manara e l’estate del fumetto in Italia Giordano Mare Aldo Saulino 15 Marzo 2015 News Si sono chiuse l’8 Marzo due mostre d’arte di buon successo, di artisti assi famosi, l’uno morto vent’anni fa, l’altro ben vivo, vegeto e ormai prossimo ai 70 anni. Due mostre che sono state due dei principali appuntamenti culturali di questo febbraio per l’intera Campania, organizzate in due città diverse – Napoli e Salerno – e in due modi diversi – la prima, privatamente, da una galleria d’arte specializzata, l’altra attraverso la collaborazione di vari enti pubblici – ma che hanno in comune una cosa, l’argomento: quello che in Italia viene ancora chiamato “fumetto”. La mostra della Galleria Hde di Napoli, Tango, è stata la colta e filologicamente curata riedizione di una mostra di dodici serigrafie di Hugo Pratt di 70X70 cm, già esposta al Grand Palais di Parigi nel 1986. Le serigrafie rappresentano dettagli e close-up di un immaginario tango tra Corto Maltese, il più famoso soggetto di Pratt, e Louise Brooks, attrice della Hollywood anni ’20, la cui fisionomia ispirò le fattezze di un’altra eroina dei “fumetti” italiani degli anni ’60 e ’70, la mitica Valentina di Guido Crepax. Sono immagini colme di eleganza e l’esposizione nel bianco e caldo salone della galleria ha giovato non poco alla fruizione e alla lettura delle opere. Le dimensioni e l’assenza di didascalie non riescono a negare quello che il tratto, i contorni marcati, le campiture nette di colore e soprattutto la successione narrativa delle opere ribadiscono: noi visitatori abbiamo davvero letto un fumetto. Mostra di successo che è solo l’ultima, felice opera dell’energica, giovane e coraggiosa Francesca Di Transo, direttrice e anima di Hde. Nel signorile Palazzo Fruscione la popolare fondazione Napoli Comicon ha allestito per tutto il mese di febbraio la mostra Mulieres, dedicata all’opera del sempre più divo Milo Manara. Il titolo ammicca alla tradizione delle cosiddette Mulieres Salernitanae, donne che nel Medioevo avrebbero fatto parte della celeberrima Scuola Medica di Salerno, figure i cui contorni storiografici sfumano nella leggenda. Articolata sui quattro piani dell’antichissimo palazzo, è stata in effetti una grande celebrazione panegiristica della figura di Manara, con le atmosfere di un’inquietante retrospettiva in vita: una vastissima raccolta di tavole e disegni, le famose pin-up, vari tributi (alla Marvel, ai classici del fumetto, ai miti greci e norreni, a Goya e a Rodin, allo Zodiaco), tavole dai più famosi lavori, con o senza testi (Lo scimmiotto, Giuseppe Bergman, Un’estate indiana …). Una golosissima mostra Blockbuster, senz’alcuna ricerca profonda, solo un amorevole tributo a un maestro di fama internazionale che in poco più di un mese (la mostra doveva chiudersi il 1° Marzo, ma è stata prorogata fino all’8 per omaggiare la Giornata della Donna) ha marcato quasi settemila visite. Numeri ridicoli rispetto a quei grandi eventi socio-culturali che sono diventate nell’ultimo decennio le mostre italiane dei fumetti, con il Lucca Comics e il Comicon napoletano in testa, che si inseriscono in un contesto nazionale che registra il continuo e poderoso successo popolare del progetto Amori Sfigati di Chiara “Rap” Rapaccini, della mostra di Staino a Siena, l’affermazione di vignettisti come Vauro al livello di personalità televisiva o di Gipi, il cui romanzo a fumetti Unastoria è stato finalista del Premio Strega 2014, il fioccare continuo di scuole del fumetto, l’enorme successo editoriale di Kobane Calling di Zerocalcare. Come tutti i cambiamenti epocali, il definitivo riconoscimento artistico dell’arte del fumetto (o delle bandes dessinées, o delle graphic novels o come altrimenti preferite chiamarle, dato che si tratta in ogni caso di termini inadatti a racchiudere quel grande e variegato mondo che esso è diventato), è avvenuto in maniera talmente lenta, graduale e sotterranea che, a celebrarlo oggi, si rischia di cadere nell’ovvio. Eppure, c’è di che rimanerne sbalorditi. Se è vero che la valenza satirica e culturale delle vignette e delle riviste dedicate è stata accettata da tempo, tant’è che possiamo trovare fumetti introdotti da Umberto Eco (che introdusse le prime edizioni di Mafalda nel ’68) o scrittori come Alejandro Jodorowsky che diventano autori di strisce illustrate da Moebius (come Incal, che apparve su Métal Hurlant a partire dall’81); se è vero che ci siamo abituati perfino ai kolossal cinematografici tratti dalle storie degli eroi dei “Comics” statunitensi o anche dei “Manga” giapponesi, o italiani (Dylan Dog, Sturmtruppen, Tex Willer), ciò che è nuovo e, in Italia, risalente solo a questi anni, è il passaggio di fumetto e graphic novel dai circuiti pop a quelli della “Cultura Alta”: premi letterari, gallerie d’arte, mostre e retrospettive su personaggi come Hugo Pratt, uno dei più grandi autori di “storie disegnate” di tutti i tempi e forse anche uno dei maggiori scrittori del secondo Novecento italiano in generale. Il fenomeno nasce dal declino dei circuiti dell’arte “maggiore” o dalla sempre maggiore crescita e autoconsapevolezza autoriale di quella che dovremmo forse cominciare proprio a definire come “narrativa disegnata”? Propendo più per la prima risposta e non per togliere qualcosa al genere della narrativa disegnata. Semplicemente sostengo che tale riconoscimento, in Italia andava fatto già prima, ai tempi di Pratt e Manara giovane, certo, ma anche di Magnus, Andrea Pazienza, Jacovitti, Vittorio Giardino, Sergio Toppi, la qualità delle cui tavole e storie, l’odierno e valido lavoro dei vari Gipi, Davide Toffolo o Zerocalcare non riesce finora a eguagliare. Che l’establishment rivaluti ed esalti solo oggi il “fumetto” (chiamandolo ancora in questo modo) appare purtroppo soltanto un temporaneo ammiccamento commerciale verso la cultura pop, mentre letterati, romanzieri, artisti figurativi e concettuali e altri sepolcri imbiancati sembrano sprofondare nell’autoreferenzialità – a meno che non mi sbagli – e la polemica su Elena Ferrante e il Premio Strega o sulla presenza di Marisa Laurito e dei suoi quadri al Padiglione Italia della prossima Biennale d’Arte di Venezia stiano appassionando segretamente gli Italiani.