Nel secolo delle immagini, esistono delle analogie crescenti tra la realizzazione di un film e quella di una mostra d’arte: alle spalle del regista e dell’artista, ci sono la cooperazione e il lavoro di diverse importanti figure dalle responsabilità notevoli, ma che vengono sovente dimenticate e passate sotto traccia, perché il loro lavoro è tanto più prezioso quanto più riescono a “sparire” dietro “il genio” degli autori. ” Tiziano e il ritratto di corte, Museo di Capodimonte – Napoli, 2006″ Foto Lucio Turchetta © Da più di trent’anni, l’architetto e allestitore Lucio Turchetta è una figura centrale nell’ambito delle mostre e degli allestimenti d’arte. Dottor Turchetta, come si allestisce una mostra di successo? La si allestisce come qualsiasi altra mostra fatta bene: l’importanza di una mostra non ha niente a che fare col suo successo di pubblico. L’immensa fortuna critica odierna del Caravaggio è dovuta a una mostra del 1951, organizzata con poche risorse da Roberto Longhi che non si preoccupava del successo di pubblico e che invece ebbe oltre 900 mila visitatori. Bisogna avere rispetto per le opere, rispetto per il curatore ed essere in grado di sviluppare una sorta di percorso narrativo. Rispetto per le opere significa garantirne la sicurezza, ricreare delle condizioni climatiche e di umidità relativa all’interno delle sale, ottimali per non danneggiare i sottili equilibri chimici e statici che rendono le opere d’arte quello che sono, fornire la giusta illuminazione per favorire la miglior lettura delle opere e non danneggiarle, creare le migliori condizioni di visibilità, tenendo conto anche delle caratteristiche delle opere e degli intenti degli autori. Il rispetto per il curatore è la capacità di mettersi al servizio delle intenzioni di chi ha ideato la mostra, talvolta di sapergli suggerire le soluzioni migliori ai problemi incontrati, anche quando costui non segua direttamente e con costanza le fasi dell’allestimento. Con percorso narrativo, intendo la capacità di rendere oggettive, ordinate e didascaliche le intenzioni ideali del curatore: la mostra intende sempre dimostrare un assunto, illustrare degli studi, affermare un concetto. L’allestitore deve saper tradurre queste intenzioni nel suo lavoro. Non deve sentirsi “artista”, altrimenti rischia di complicare e limitare ogni discorso: quando l’allestitore vuol fare l’architetto creativo, fallisce inderogabilmente. Sono profondamente critico, ad esempio, su interventi come quello di Renzo Piano al Centre Pompidou poi migliorato da Gae Aulenti. “Frida Kahlo, Palazzo delle Esposizioni – Roma 2014” Foto: Alfredo Cacciani© Azienda Speciale Palaexpo Nicola Spinosa, sia dai suoi detrattori che dai suoi ammiratori, è considerato come una figura dominante della cultura napoletana degli ultimi trent’anni e i suoi cinque lustri da Soprintendente rappresentano una vera “epoca” culturale per Napoli, durante la quale si sono formati tutti gli attuali dirigenti dei musei napoletani. Lei ha lavorato spessissimo con lui. Che rapporto avevate? Ricordo Spinosa come un grande monocrate, dalla personalità vulcanica, forte e irrequieta. Contemporaneamente era, ed è, una delle persone più intelligenti, acute e brillanti che abbia mai conosciuto. Difatti, come solo le persone più intelligenti sanno fare, è anche capace di mettersi in discussione: non credo ci siano dubbi sul fatto che sia uno dei maggiori studiosi del Ribera – “Spagnoletto” in Italia – eppure quando Gianni Papi ha proposto di attribuire allo stesso Ribera giovane la produzione dell’anonimo Maestro del Giudizio di Salomone, è stato proprio Spinosa a cercare il confronto, curando la mostra su Il giovane Ribera, a Capodimonte nel 2011. Spinosa ha anche una grande sensibilità: ha voluto lui mettere in fondo al corridoio del II piano di Capodimonte, in penombra, il Cristo alla Colonna, sapendo che avrebbe dominato tutta quell’ala dall’inizio. Abbiamo lavorato insieme molto, anche perché ha sempre apprezzato la mia capacità di accogliere le sue esigenze, ma non ci siamo frequentati tantissimo: per certi versi, Spinosa è come un artista, è nel lavoro che dà il meglio di sé. “Depero. Il teatro musicale, Parco della Musica – Roma 2007” Foto Lucio Turchetta © Oggi, le figure dei soprintendenti sono attaccate da tutti i lati. C’è chi li accusa di rappresentare un ostacolo burocratico al rinnovamento e alla valorizzazione del patrimonio, chi invece di essere troppo morbidi di fronte alle istanze del potere. Io sono assolutamente “statalista” da questo punto di vista. Non si diventa soprintendenti per caso: lo diventano solo persone che uniscono una grande ed efficiente professionalità a un’altissima preparazione storica e culturale. Questo perché si tratta di un ruolo che richiede la capacità di assumersi delle responsabilità, di cui difficilmente ci si rende conto e di sopportare delle pressioni molto forti. “Alexander Calder, Palazzo delle Esposizioni- Roma 2009” Foto: Alfredo Cacciani© Azienda Speciale Palaexpo Osservando il suo curriculum, noto una grande varietà tematica, che sottintende un talento duttile, nelle mostre che ha allestito, soprattutto nei suoi lavori romani. Strano che abbia lavorato tanto poco nel Nord-Italia nell’ultimo ventennio e quasi sempre per riproporre mostre che avevano avuto successo a Roma e a Napoli. Va detto che la scelta del tema dipende da curatori e artisti, l’allestitore bravo sa comprenderne gli scopi e le necessità. E bisogna anche dire che si instaurano dei rapporti fiduciari tra curatori e allestitori così profondi che alla fine non esiste una sorta di “mercato” degli allestitori: quando un curatore sviluppa un progetto, lo porta avanti con gli allestitori che conosce meglio. Nel nord Italia, c’è grande abbondanza di bravi allestitori e quindi a pochi curatori è venuta la curiosità di confrontarsi con me. Potremmo dire che anche al Sud e nel Centro, quindi, lavorano per lo più allestitori “locali”. Dato, poi, che i migliori allestimenti sono quelli che non si notano, quelli che non “pesano” sui contenuti della mostra, io trovo controindicato concentrarvi troppe attenzioni critiche: ricordo che partecipai a Milano a un convegno sul tema. Quasi non capivo di cosa si stesse parlando. Detto questo, ho una certa nostalgia dell’ambiente romano degli anni ’80: si facevano molte, ma molte più mostre di oggi. C’era più coraggio, più voglia di rischiare, preoccupazioni meno assillanti sulla sicurezza delle opere (che per paradosso era garantita di più con molte leggi in meno) e molta più attenzione internazionale su cosa si allestisse a Roma. Oggi tutto questo non c’è più. “Futurismo 1909 – 1944, Palazzo delle Esposizioni – Roma 2000” Foto Lucio Turchetta © Molte più mostre negli anni ’80? Eppure oggi mi sembrano moltissime, strombazzatissime e c’è chi le critica: quasi tutte concentrate sui grandi nomi della storia dell’arte, spesso organizzate senza criterio, senza un progetto di ricerca alle spalle. C’è chi, come Settis o Montanari, parla di mostre Blockbuster e di mostrificio. Cosa ne pensa a riguardo? Sono tendenzialmente d’accordo con loro, però non condanno in toto questo fenomeno. Certamente ci sono personaggi senza coscienza che speculano sui grandi nomi, per fare cassa. Spesso, però, emergono solo grazie a legami con la politica e, dato che richiedono prestiti di opere molto importanti e delicate, il cui noleggio è molto costoso, rischiano di conseguire margini di profitto molto inferiori a quanto non ci si aspetti. Generalmente, queste figure tramontano, quando finiscono i loro protettori politici. Un grosso problema è dato dal fatto che ottenere opere in prestito è diventato molto più complesso che in passato, a causa di un impianto normativo assai ingente e rigido e soprattutto di una crescita gigantesca degli oneri assicurativi sulle opere – dall’11 settembre 2001 ad oggi – per cui la voglia di rischiare da parte di musei e gallerie d’arte è diminuita molto. Certamente dà maggiori ritorni di cassa una mostra su Caravaggio che non una sui cartoni di Raffaello e bottega. Tuttavia c’è ancora chi si assume dei rischi per ricerche importanti anche in Italia: per esempio, la mostra su Hans Memling e il Rinascimento fiammingo (inaugurata alle Scuderie del Quirinale di Roma, dall’11 ottobre al 15 gennaio, n.d.s.). 2004 – Pino Pascali, Napoli Castel Sant’Elmo -Foto Lucio Turchetta © Da circa un decennio a questa parte, si sta dedicando all’insegnamento teorico. Il suo curriculum suggerisce l’idea che si sia preso più di una soddisfazione: ha lavorato in master di formazione, ha tenuto seminari nelle sedi romane di prestigiosi atenei statunitensi come la Temple o la Cornell, e il LUMSA. Ha anche scritto un saggio per la “Treccani scuola” sulla “persistenza e il nomadismo dell’architettura classica”. I seminari negli istituti americani sono stati una breve esperienza divertente, ma sono i corsi di “Allestimento degli spazi espositivi” che tengo dal 2005 nell’Accademia di Belle Arti di Napoli a darmi le maggiori soddisfazioni. Sull’architettura, sono profondamente convinto che, come certi storici della filosofia affermano che tutta la filosofia altro non è che una glossa a Platone, essa si basi ancora sui principi formali di Vitruvio. Perfino i più grandi “eretici”, le personalità più lontane dal classicismo, da Borromini ai maestri del Movimento Moderno hanno basato i loro percorsi artistici di “dissidenza”, usando il linguaggio e i valori dell’architettura classica. L’importante, in ogni arte, è rapportarsi all’uomo, alla sua realtà e alle sue esigenze. “Futurismo 1909 – 1944, Palazzo delle Esposizioni – Roma 2000” Foto Lucio Turchetta © biografia Formatosi con Paolo Portoghesi, è già consulente dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Roma con compiti di organizzazione e allestimento mostre dal 1980 al 1986, nella giunta di Petroselli prima, di Ugo Vetere poi, durante quel decennio in cui il primo comune d’Italia fu guidato da giunte di sinistra PCI-PSI (cominciando con lo storico e critico dell’arte Giulio Carlo Argan), si mise in luce nell’organizzazione di mostre assai diverse tra loro, da Architettura svizzera contemporanea (Palazzo delle Esposizioni, 1981), mostre pittoriche, archeologiche, documentaristiche (come Il Tevere, un’antica via per il Mediterraneo). Gli anni ’80 sono anni “internazionali” per Turchetta, chiamato ad allestire mostre in giro per l’Italia (Torino, Spoleto, Milano, Genova, Cagliari) e in Europa (Futurism in Flight e In the shadow of Vesuvius a Londra nel ’90, Tevere – Seine. Deux cités, deux fleuves: le Tibre, a Parigi nell’85). Nel 1985 il Pentapartito fa eleggere sindaco il democristiano Signorello e il clima nella capitale cambia. “Futurismo 1909 – 1944, Palazzo delle Esposizioni – Roma 2000” Foto Lucio Turchetta © Turchetta si trasferisce così a Napoli nel 1986 ed entra presto nell’orbita di Nicola Spinosa, soprintendente ai beni storici e artistici di Napoli ininterrottamente dal 1984 al 2009, il quale lo coinvolge in tutti i principali progetti museali, dal riallestimento del piano nobile del Museo Diego Aragona Pignatelli Cortez alla creazione del Museo Napoli Novecento (1910-80), e nella realizzazione di mostre importantissime come quelle su Battistello Caracciolo e il primo naturalismo a Napoli, quella su Jusepe de Ribera (Castel Sant’Elmo, 1992), Gioacchino Toma (Maschio Angioino, poi Spoleto, 1995), sul Quattrocento aragonese (Castel Nuovo, 1997), Luca Giordano (Castel Sant’Elmo, 2001), Gauguin e la Bretagna (Castel Sant’Elmo, 2003), Caravaggio. L’ultimo tempo, Velàzquez a Capodimonte (Reggia di Capodimonte, 2004/05) e Tiziano e il ritratto di corte (Capodimonte, 2006). È stato coinvolto anche nell’annosa questione del riallestimento del Museo Filangieri, che solo dall’anno scorso è tornato a essere visitabile dopo oltre dieci anni di lavori, all’allestimento dello stand espositivo del MiBAC nelle esposizioni di Galassia Gutemberg (dal 1998 al 2002), al restauro delle sale del Palazzo del Monte di Pietà dedicate alla collezione del Banco di Napoli (1999), ora trasferite in Palazzo Zevallos Colonna di Stigliano, al riallestimento delle sale per le collezioni d’arte della Società Tirrenia (2002), del Museo delle Carrozze in Villa Pignatelli (2003), della Sala Palizzi nell’Accademia di Belle Arti (2005), della Gipsoteca storica dell’Accademia di Belle Arti (2007/10), alla programmazione del Maggio dei Monumenti 2008. Non venivano, intanto, meno i lavori romani, molti dei quali al Palazzo delle Esposizioni, e internazionali, sempre più importanti: la mostra sulla Collezione Kissner nella Biblioteca della Camera dei Deputati a Roma (1996), Sulle rotte dei Fenici a Beirut (1998), El Greco. Identità e trasformazioni (1999), L’idea del Bello (2000), Giò Pomodoro. Sentire la scultura (2004), La città + velocità + rumore. La città futurista di Gino Severini (2005), Giovanni Bellini (Scuderie del Quirinale, 2008), Cina XXI secolo (2008), Alexander Calder (2009). Negli ultimi anni Turchetta continua a partecipare a progetti di importanza nazionale, collaborando sempre più a Napoli con l’Accademia di Belle Arti, con mostre su: Guido Tatafiore, Augusto Perez e sull’Allestimento dei calchi del Partenone (Accademia, 2010), Mimmo Jodice e Alexander Rodchenko (Pala Expo di Roma, 2010/11), Emilio Notte (Accademia di Napoli, 2012), Vermeer. Il secolo d’oro della pittura olandese (mostra di grandissimo successo allestita nelle Scuderie del Quirinale nel 2012), Frida Kahlo (mostra anch’essa di grande successo, esposta quest’anno nelle Scuderie del Quirinale).