La fotografia di Giuliana Calomino: il grado “zero” che preserverà il mondo Redazione 19 Ottobre 2014 Artisti, I Protagonisti Le foto di Giuliana Calomino mi fanno uno strano effetto. Non so dove lei abbia scattato le sue foto, ma quando le osservo ho la sensazione di poter vedere, se guardo bene, qualcosa di speciale e di emozionale; mi inducono a sentire un senso di sorpresa per ogni nuovo sguardo, per la scoperta particolari che aprono dei mondi profondi. Scavo nella memoria e nei sogni. La fuga dell’animale ritratto senza testa, non so il perché, comunica tensione e mi ricorda le galline che mia nonna affogava nel secchio blu riempito di acqua. Sì, ricordo il corpo dimenante della povera bestia, ma non la testa, immersa. La parete di ghiaccio o di calcare presente in un altro scatto, invece, riporta alla mente il ricordo di quando passavo davanti a un vicoletto in salita: da bambino mi colpiva il fatto di non riuscirne a vedere la fine. Più volte in sogno mi è capitato di percorrerlo e alla fine, con gioia, ci ritrovavo sempre un mare sereno, a pochi incroci da casa mia. Apprezzo tantissimo la poetica del particolare che porta all’universale e mi piace l’idea di viaggiare anche solo svoltando il solito angolo. Epifanie, la collettiva a cui ha partecipato l’artista, dal magico scenario di Castel dell’Ovo di Napoli si è spostata a Roma. Chiedo quindi maggiori dettagli a Giuliana. La mostra al momento è in due luoghi differenti. Al Macro a Roma, in via Nizza, in occasione del Festival Internazionale di Fotografia e resterà esposta fino al 11 gennaio. Siamo nella sala studio 2 al secondo piano. L’istallazione è stata leggermente modificata, per meglio adeguarsi al nuovo contesto. Il tavolo adesso è quadrato e le luci sono sospese nell’aria da cavi leggeri, quasi invisibili. Su di esso sono poggiati, come sempre, i nostri 8 portfolio, le cui foto sono state ri-selezionate. Lo spirito e l’atmosfera dell’esposizione restano quelli originari. Inoltre un pezzetto di Epifanie è stato anche al Sifest Savignano Immagini, fino al 12 ottobre nello spazio postindustriale del Mir Mar per Atlante.it: un’inedita mappatura delle giovani realtà della fotografia italiana, che racconta il Paese per immagini, attraverso i suoi collettivi. Bellissimo esserci e confrontarsi con gli altri. Poi ci piacerebbe portare la mostra ancora in giro, ma non posso dare per ora notizie certe. Parlami della tua ricerca e del suo titolo, Zero, che mi incuriosisce. Zero nasce da una sensazione. Ebbi l’impressione che il mondo che conoscevo stava cambiando, non sarebbe più stato lo stesso. Era una mia trasformazione, stavo costruendo un nuovo mondo. Allora ho cominciato a scattare immagini, pensando a un pianeta che nasce, quasi in incubazione. Partendo dalle costellazioni, alla terra, fino ai suoi abitanti, perché non volevo rimanesse un deserto senza vita. Ogni immagine si muove al confine tra conosciuto e ignoto. Ho scattato foto di questo pianeta che potessero essere volutamente confuse con quelle di un paesaggio alieno. Ho operato trasfigurando la realtà, creando con la fotografia un luogo extraterrestre, lontanissimo, quasi psichedelico, eppure vicino. C’è sempre un elemento che conduce la mente altrove e immediatamente la riporta al familiare, tanto che quel cosmo alieno prima si avvicina e si fa racconto intimo, poi con un volo d’uccello si allontana e plana dall’alto sulle sue forme. Così i confini tra i due universi si annullano e non si sa più se si sta guardano una stella straniera oppure i limiti di questo mondo. È un universo cellulare, delicato, fatto di dettagli ma anche di larghe inquadrature. L’ho chiamato Zero, innanzitutto perché sono le coordinate astronomiche della Terra, e io parlo di questa terra, della ricerca di una casa autentica, in secondo luogo perché zero è la prima carta dei Tarocchi, che simboleggia l’energia primigenia, l’impulso vitale. Perché le tue foto sono ‘piccole’, più piccole rispetto a quelle degli altri fotografi di Epifanie? Ho scelto e voluto fortemente il piccolo formato (10×15), perché risponde a una precisa necessità. Non volevo che le foto venissero incontro allo spettatore prepotenti, non volevo che lo invadessero con la loro presenza, non fa parte di me. Piuttosto desideravo che avvenisse il processo contrario, ovvero che fossero le persone ad avvicinarsi all’immagine. Sono foto che richiedono un’immersione, che vanno scrutate, investigate, rovistate con gli occhi. Inoltre il formato piccolo, lascia uno spazio bianco intorno alla foto, uno spazio immaginativo, come se in qualche modo i luoghi ritratti potessero continuare, espandersi, e ognuno può scegliere come. Nei tuoi scatti mi è parso di avvertire qualcosa di ironico, nel concentrarti su piccole porzioni che diventano poi mondi monumentali, e che in alcuni casi diventano visioni quasi astratte. Cosa ne pensi? Vero. Mi affascinano i mondi nascosti, la macrofotografia, ma anche il microscopio. Sono convinta che anche in piccole porzioni si concentri l’intero universo, che si dispone in maniera sempre uguale, dall’infinitesimale alle galassie. E mi piace ricordare che c’è una parte di questo esistente, che c’è ma non si percepisce a occhio nudo e si manifesta solo a chi lo vuole cercare. E io, quando lo guardo, mi sento come un esploratore che sta per scoprire qualcosa di misterioso e importante. In qualche modo, entrare ed uscire dal macro al micro è presente sin dal principio di Zero. Il progetto infatti si apre con una volta stellata e si chiude con due pesci che sembrano comete, che guizzano nel blu. Come per dire che cielo e acqua si specchiano e contengono il mondo. Che bello! Progetti per il tuo futuro? Mi piacerebbe avere la possibilità, anche materiale, di continuare le mie ricerche fotografiche e scrivere. La sola immagine non mi basta, la sola scrittura non è sufficiente. Ormai le ritengo essenziali e complementari. Vorrei fare poi qualche residenza artistica, magari in luoghi lontani e inospitali, come l’Islanda. Potrei trovare lì la mia casa. Più in generale, mi piacerebbe viaggiare tanto, perché non solo è fondamentale per quello che faccio, ma è anche l’unica cosa che mi fa sentire davvero bene. Per approfondimenti visita il sito di Giuliana Calomino: giulianacalomino.com