Rosy Rox: trasgressione e rinascita tra identità femminile e libertà d’espressione Giancarlo Napolitano 14 Ottobre 2014 Artisti Quando il corpo della donna protesta. Viaggio tra il sacro, il profano e il trasgressivo nell’universo performativo di Rosy Rox. Mi guarda con occhi accattivanti e sono subito irretito nel suo universo. Sembra voglia provocarmi, sedurmi pericolosamente, ma dietro quello sguardo si nasconde tanta tenerezza e fragilità. “Flail” – 2007 – Alluminio, cristalli, pelle.Ph: Salvatore Di Vilio Così si presenta Rosy Rox, nella sua opera performativa in un alternarsi tra l’elemento erotico-seduttivo e il suo contrapposto tenero –romantico: un’opera centrata principalmente su questioni di identità femminile e sul ruolo della donna in differenti contesti sociali riproponendo in chiave metaforica i luoghi e gli oggetti di prigionie medievali. È il gesto rituale delle sue performances che attira instantaneamente la mia attenzione, un gesto che esprime nella sua frammentarietà un intero universo da esplorare. C’è totale assenza di parole in questa arte, ma tanti sguardi, accenni, movimenti che lasciano spazio a mille interpretazioni, gesti che si moltiplicano ma che nella loro frammentaria inafferrabilità e impossibilità ad emularli, esprimono univocamente un solo messaggio: la donna e la sua libertà di espressione. “Stark Rot“ – 2005 Nel fare ciò, Rosy racconta il suo mondo interiore, i suoi desideri attraverso l’utilizzo del suo corpo che diventa oggetto di contemplazione estetica e di riflessione filosofica. È un corpo sinergicamente immerso nello spazio che lo accoglie e da cui emana energie secondo campi empatici. Nel creare empatia l’artista realizza le sue opere nel contatto diretto con il suo pubblico, che irretito nel suo mondo, lo scruta, lo interroga e ne prende distanze dopo opportune riflessioni, fino a lasciarla sola. Rosy attrae la sua audience con la sua aura magica, con il suo sguardo perturbante, con l’utilizzo di strumenti di tortura che a prima vista potrebbero essere fraintesi come strumenti erotici o oggetti di fantasie erotiche represse delle nostre frustrazioni, ma il suo trasgredire va ben oltre il semplice rapporto sado-maso che si instaura con il fruitore. È un messaggio che viene da lontano. “Lotus flower” – 2009 – live from performanceph: Gennaro Navarra Nutrita da letture di Lucy Irigaray, l’artista ripercorre una lunga storia di tradizione femminista, grida al mondo i diritti delle donne che hanno sofferto e che continuano a portare il peso della discriminazione o delle costrizioni politiche. Il suo corpo è lì per essere sradicato e per riaffermarsi nella sua identità di donna libera. E i suoi strumenti – fruste, ruote, cicogne di storpiature -, lungi dall’essere oggetti di tortura, rivestono l’emblema di prigionie sociali, di cui la donna è stato spesso vittima. Sono le prigioni che delimitano il corpo, sia quelle sociali sia quelle psichiche, simboleggianti i vincoli maschilisti che credono di dominare un universo femminile che si batte ed emerge sempre vincente nella sua bellezza, nella sua audacia nel contravvenire alle leggi che il sistema ha cercato di imporre sul suo spirito. Gli oggetti diventano cosi elementi di contemplazione estetica, così come il corpo che si dona nella sua mobilità emotiva esposto con la propria fragilità agli occhi divoratori dell’osservatore. Sono oggetti che riacquistano i tratti di accessori di moda; nel loro glamour sono impreziositi di gemme, di argenti e oro quasi a simboleggiare la ricchezza interiore, con cui si giunge dopo un’eccessiva sofferenza che la donna ha dovuto affrontare alla ricerca della propria emancipazione sociale. “Please return to You” – 2012 – Live from performanceph: Gennaro Navarra La Bellezza, per Rox convinta sostenitrice del credo buddista, nasce dal fango. È dalla sofferenza, dalle circostanze più avverse che il corpo della donna emerge, come una Venere dalle acque spumanti, che, immersa nei mali del mondo, ne fuoriesce pura, riscattando non solo se stessa ma tutta l’umanità. È una bellezza che si nutre e si compiace dei suoi contrasti. Ed è proprio l’Eros, come spiega l’artista, la via d’uscita privilegiata per ricercare spiragli di libertà. È una forza primordiale che cerco di far fuoriuscire dalle vesti del bigottismo che invade il nostro tempo. Ed è cosi che oggetto e soggetto si intrecciano e si disambiguano nell’atto performativo. “Mi infrangerò nella tua sentenza“ – 2009 – live from performanceph: Gennaro Navarra A volte Rosy sembra apparire come oggetto ridotto a brandelli, violentata dagli sguardi altrui, ma siamo certi di capire l’intento? Chi l’ha ridotta in questi termini? Non è forse l’artista che volontariamente si autolesiona per apparire vittima? In realtà siamo noi ad essere diventati vittime del suo gioco. I miei lavori sono carichi di messaggi ambivalenti e pongono l’attenzione nella scissione che si crea tra forma e sostanza tra essere e apparire. Nella performance Mi infrangerò nella tua sentenza Rosy si lega, come una nuova Santa Caterina D’Alessandria, a una ruota laccata di bianco e impreziosita di gioielli e sembra che il suo corpo sia esposto agli sguardi degli spettatori come oggetto erotico. Ma ecco che magicamente l’uno dopo l’altro, gli spettatori la slegano da quei metaforici lacci, svincolando quel corpo dalla sua prigionia e restituendogli il proprio status sociale. E nello stesso tempo i fruitori di questo evento si liberano dai condizionamenti mentali che avevano posto la donna come essere sottomesso. “La Robe” – 2012 – live from performanceph: Amedeo Benestante La catarsi si gioca su un duplice piano: lo spettatore e l’artista raggiungono uno stato, liberatorio, ben diverso da quello iniziale. In un’altra performance la Robe, Rosy arranca, coperta da un involucro in latex su una passerella a ritmo cadenzato dall’uso freddo e meccanico di un metronomo. Il movimento è lento e pesante e gradualmente l’artista si rivela frontalmente nella sua nudità, mentre la sua “veste” viene lacerata da tiranti. Ancora una volta è il dolore, la lacerazione interiore a ridare bellezza al corpo femminile. L’involucro, simbolo di condizionamenti sociali, non ha più ragione d’esistere dopo che la donna ha duramente lottato per ritrovare se stessa. E il vestito è l’emblema più evidente dell’apparire dell’essere ed eliminarlo significa metaforicamente ritornare alle proprie radici e acquistare la propria originalità, anche a costo di mettere a nudo le proprie fragilità interiori. “Ci credo” – 2013 – Acciaio , alluminio. Tra due diverse tensioni, quella materiale del corpo legato e quella temporale, scandita da un ritmo continuo senza fine, l’artista ritrova la sua via d’uscita e ci guarda con occhi ancora un po’ impauriti e il corpo un po’ spossato da fatiche, ma finalmente libera. È un percorso obbligato che bisogna saper affrontare per ritornare in vita come donne libere, e Rosy riesce a farlo nel suo coraggio di esporre se stessa nella sua nudità e nel suo continuare a credere nei diritti di emancipazione della donna, convinta sostenitrice che dalla sofferenza più buia può uscire la luce radiante del proprio essere, “strappandosi” le convenzioni sociali dal corpo, le maschere e i ruoli che le tradizioni le hanno imposto nei secoli. “Il dono” – 2011/2014 – live from performancePh: Amalia Cantile Ma cosa accade quando il corpo, ormai stanco, cessa di essere elemento performativo? Siamo di fronte all’eclissi dell’artista? Nell’universo radiante di Rosy Rox, l’arte incontra sempre nuove forme per rigenerarsi. L’artista estende la sua produzione attraverso nuove forme di sperimentazioni sociali, in cui non è più il suo corpo ad essere al centro dell’arte, ma quello altrui. Notevole è l’impegno sociale che vede la giovane partenopea impegnata in diversi workshops in collaborazione coi pazienti del morbo di Alzheimer e con i bambini di diverse scuole. Carica di verve femminista risalente all’attivismo di Lucia Mastrodomenico, Rosy si avvicina ai più bisognosi, ai più fragili e innocenti e nel suo workshop il Dono chiede loro di pensare semplicemente a qualcosa. Agendo sui loro sentimenti, sulla loro interiorità l’artista traduce simbolicamente sotto forma di blocchi di cemento le loro emozioni, oggettivando, per così dire, i loro pensieri e restituendoli al futuro. “Il dono” 2011/2014 – live from workshopPh: Michela Fabbrocino Ed è cosi che la donna, nel suo percorso formativo, dopo aver raggiunto la propria identità diventa militante e aiuta gli altri a ricercare se stessi e l’artista, in questa nuova veste, non appare più racchiuso nel suo mondo elitario, ma scende tra la gente, prende parte alla vita quotidiana degli altri e, nutrendosi delle loro passioni, rinasce in nuove forme.