Ci capita spesso di associare l’immagine dell’artista con quella di un essere estraniato dalla realtà, che si rifuggia in uno studio privato al di fuori dagli occhi di tutti e produce la sua arte, lontano dal tran tran quotidiano e in perfetta calma, quasi come se fosse alienato nelle sue nuvole. Ma cosa significa realmente questa esperienza? Come è vissuta in prima persona dall’artista? In quale stato e in quale dimensione temporale si trova, mentre è assorto nell’atto della sua creazione? Fino a che punto l’esperienza onirica si mescola e permea la nostra realtà confondendosi con essa? A fornire una risposta esaustiva a questi miei interrogativi è l’artista cileno Hector Hernandez Rubilar, un artista che vive in una sorta di limbo alla continua ricerca di identità culturali da definire. Architetto paesaggista, “dirottato” transitoriamente in Francia nel 1984 è riuscito ad arricchire il patrimonio culturale occidentale, trasportando le immagini delle sue terre andine e creando un’opera pittorica di forte impronta surrealista. Il dialogo con Hector avviene vie etere; attraverso contatti skype nei quali, ripercorrendo la nostra amicizia, mi conduce con voce calma e attaggiamento mite a viaggiare attraverso il suo mondo, fatto di nuvole che prendono forme e si decompongono continuamente nella sua produzione pittorica. Nel fare ciò, vengo a conoscenza di cosa significhi entrare in uno stato di semi trance nel momento in cui l’artista crea e dà libera espressione ai suoi sentimenti. La tela, dominata principalmente dal colore blu, rappresenta il nostro spazio temporale e su questa dimensione si muovono, con colori brillanti e trasparenti, nuvole vaporose che si sovrappongono, simboleggianti l’evaporazione e la frammentarietà del tempo che sfugge. In questo gioco di trasformazioni visuali agiscono e si contrastano forze di polarità opposte: violenza e serenità, movimento e stasi. C’è sempre un elemento positivo e negativo così come nella fotografia e ognuno di essi genera un’energia differente. Il tormento diventa così l’unità dei due elementi, l’energia nell’amare con passione gli altri esseri viventi. Ed è in quest’istante, nel nostro subconscio, che la gioia di vivere si assimila con quella di morire. Attraverso il viaggio dei suoi colori, Hector mi rammenta ciò che siamo, esseri nella loro fragilità, mi mostra l’evanescenza dei nostri sentimenti che evaporano e si dissolvono alla stessa stregua delle sue nuvole in continuo transito. Come il vento muove e plasma in un movimento ondulante le dune del Sahara creando delle forme imprevedibli e sempre diverse, così anche la mano di Hector si lascia trasportare e dolcemente crea su un materiale concreto dalle forme sinuose non definite. Quando dipingo è come se mi trovassi in uno stato di trance mentale; nulla è premediato e prescelto e non c’è alcun disegno preparatorio. Mi lascio solo prendere e guidare dalle mie emozioni accompagnato da musica a volte d’ambiente, a volte andina; sono gli istinti a guidarmi e tutto è relegato al momento del mio stato d’animo. Percorro un viaggio all’infinito nello spazio immaginario dove la pittura si fonde con la musica. Parte della produzione pittorica di Hector viene trasposta attraverso immagini uditive che rievocano la musica andina. E in questa fusione, generatrice di un piacere orgiastico, che la musica e le forme si incontrano creando dei codici coincidenti che bisogna decifrare nel contesto inconscio della tela. La poliedricità di interessi dell’artista, riflessi attraverso un melange di colori, musica e poesia ci mostra la complessità dell’Uomo, con i sui pensieri, la sua solitudine, i suoi sogni, il suo desiderio di fondersi in un mondo o in un altro, di appartenere alla realtà o al sogno, di restare solo o confondersi con l’altro. Nell’ascoltare questa musica a mo’ di New Age, chiudo gli occhi e lascio scorrere le immagini che si proiettano di fronte allo schermo delle mie pupille, seguendo il ritmo di marcia e il suono di un ipotetico motore di un aereo che mi invita a viaggiare al di sopra delle nuvole. Non bisogna analizzare, né riflettere, ma lasciarsi andare e farsi trasportare dalla mobilità di queste forme, lasciando spazio agli stimoli dei nostri sensi. Ciò che fa la differenza è il diverso livello di concentrazione e il modo in cui ognuno di noi reagisce. È così che la pittura coinvolge con una forte carica meditativa. Basta sollevare il capo e volgere lo sguardo verso il cielo, pensando che tutto cambierà. Non c’è nuvola che non lasci spazio al ciel sereno, sgombro e limpido; non c’è tensione che non si risolva nella sua stasi. Nell’impeto della transitorietà della nostra vita coesisteranno sempre elementi contrastanti, ma nulla rimane per sempre. Il viaggio di Hector ci insegna che nel vortice della realtà c’è sempre un piccolo lasso temporale in cui ognuno di noi può sognare. È sufficiente estraniarsi e pensare che le nuvole, seppure burrascose e grigie, si dissolveranno prima o poi lasciando spazio a un cielo azzurro e sereno. Approfondimenti: www.hernandezrubilar.canalblog.com https://soundcloud.com/hector-hernandez-rubilar/tracks