Qualche giorno fa l’inaugurazione della mostra di Andy Warhol al PAN di Napoli. Ci si muove tra le sale affollate e i volti curiosi. Le sovrapposizioni di immagini, i “pezzi” che si snodano e si riuniscono, i colori sgargianti e ipnotici dell’artista statunitense, come un contatto nei sogni notturni mi rimanda ad altri colori simili, intensi, profondi e ad un volto sfigurato da un espressione d’angoscia liberata in un “urlo” silenzioso. Urlo. L’urlo. Omaggio di Warhol ad Edvard Munch. Napoli, come spesso mi accade, mi rimanda a Genova. Warhol mi rimanda a Munch. Col pensiero dal PAN a Palazzo Ducale. L’urlo di Warhol è l’ultima tappa della mostra genovese. “Warhol after Munch” Omaggio pop all’artista norvegese. Ma in quest’ultima “sala pop” ci si arriva dopo aver percorso l’anima tormentata di Munch. Attraversare le sale che ospitano queste opere sconvolgenti (ed uso non a caso questa parola) è stato come oltrepassare un corpo attraverso la sua anima. Attraverso le emozioni, i dolori e la follia che si muovono, incrociandosi in un corpo denso di contrasti. Contrasti della mente e del cuore. Non si riesce a rimanere emotivamente indifferenti difronte alle creature di Munch. “La gelosia” te la senti vibrare in corpo guardando quel volto smarrito, ma consapevole, che in primissimo piano si perde nei tuoi occhi, mentre una scena alle sue spalle si compie inesorabile. Nudità immersa in un piacere che uccide. E mentre gli occhi, a fatica, si staccano da questa scena, appare e si riflette nell’anima (nell’anima di chi la guarda) una figura armoniosa che si perde in un magma scuro: “Madonna”. Occhi chiusi (forse inesistenti) e braccia lascive, appena percepite. E un piccolo feto disperso che rimane lì a distrarti, in un angolo quasi nascosto, e a contendersi la scena, quasi disperato. E poi, l’attesa delle “Ragazze sul ponte” e l’angosciante candore de “I bagnanti”. E il ritorno a la nudità che uccide di “Vampire”, senza volto e, forse, senza anima. Quella su Munch è una mostra che traccia il profilo dell’artista senza mai perdere di vista il profilo dell’uomo. Non si riuscirebbe a capire fino in fondo (ma certo si riuscirebbe a godere comunque della bellezza della sua opera unica) il percorso artistico proposto a palazzo ducale, senza accompagnarlo al percorso umano, personale. Mai come in questo caso, sono state “illuminanti” le note esplicative (e la progressione temporale) sulla vita del grande maestro norvegese. I suoi tormenti, le perdite, l’intensità del vivere. Oltre centocinquanta opere realizzate tra il 1880 e il 1944, tra cui dipinti ad olio e molte incisioni. (ed il già citato omaggio pop) Un percorso intenso che sembra finire troppo presto. Un’occasione da non perdere per godere dell’angosciante bellezza dell’artista norvegese e, perchè no, anche un’occasione, una volta varcato il portone di Palazzo Ducale, di darsi uno sguardo alla bellezza fatta di contrasti meravigliosi della “superba” Genova.