Un luminoso sabato mattina, la geometria antica dei vicoli napoletani da cui emerge un portone giallo carico (luce e colore, vecchio e nuovo, contrasto). Un “antro” che accoglie e immerge. Madre …e già si sente profumo di arte. In attesa di Spalletti. In attesa che ce lo raccontino, ma, soprattutto, in attesa che si racconti lui stesso, attraverso i colori e le forme delle sue creazioni. “Un giorno così bianco, così bianco” Ad aprire la conferenza di presentazione della mostra è Pierpaolo Forte, presidente della Fondazione Donnaregina per le arti. “Si può fare”, queste sono le prime parole che pronuncia. Sono parole forti e d’impatto. Si accolgono le sfide e, talvolta, le si vince. I prodotti buoni si possono creare. E lo si può fare assieme, in sinergia. Sinergia di forze e menti. Lo sottolinea, anche, Francesco Spano di Maxxi arte. Si è sempre disincentivati a creare “insieme”. Si tende a parcellizzare le forze. Si rischia di lavorare su binari paralleli che non si incontrano mai. E, invece, il progetto Spalletti ha smentito la tendenza. Un sistema di rete in cui ci si è incontrati con estrema “armonia”. Una rete orizzontale e non una gerarchia verticale. Un confronto vis à vis. Una scelta, questa del progetto Spalletti, cercata, meditata e ottenuta. Torino, Roma, Napoli. Tre città, tre mostre, un unico nome: Ettore Spalletti. Ma non un percorso statico. Tre città, tre identità, tre Spalletti. Al Maxxi di Roma la bi-tridimensionalità. Al Gam di Torino, la luce, portata sulla concentrazione dello studio (il cervello incontra la mano e con essa si fonde). Al Madre, il colore “Il colore, come si sposta, occupa lo spazio e noi entriamo”. Ma, infondo, una vera e propria retrospettiva. Una mostra generosa che ospita alcune opere mai presentate al pubblico. Alcuni lavori figurativi che lasciano lo studio dell’artista per la prima volta. E’ Andrea Viliani (direttore del Madre) assieme ad Alessandro Rabottini (entrambi curatori della mostra) a raccontarcelo, aprendoci la strada verso le opere di Spalletti. E Spalletti arriva. Lo incontriamo (attraverso le sue opere) nelle stanze del terzo piano del Madre. Lo incontriamo nei suoi colori avvolgenti ,“totali”. Colori che assorbono lo sguardo, che attirano le mani, bisognose di cibare il tatto. Toccare, guardare, fermarsi in silenzio.“Il mio è un colore che assorbe”, dice Spalletti. Ed è la sensazione primaria che si percepisce davanti alle sue opere. Sembra quasi di sentirsi ingoiare dalla pastosità del colore, avvolti ,appunto, nell’impasto cromatico. Lo incontriamo nelle geometrie, nel “senso dei vuoti” o degli spazi riempiti, negli incroci di luce e forme che si susseguono o sovrappongono. Lo incontriamo, ospitato dalle bianche ed alte stanze del madre, con la luce che entra dalle finestre possenti, che sbirciano sulla città. Angoli di storia e vita che sembrano voler prendere parte all’esposizione. Fanno capolino e guardano per essere guardate. E alla fine del percorso, entrando di stanza in stanza, quella luce, quelle forme, quel colore “totale” ci sono un po’ entrati dentro e ce li porteremo ancora sulla pelle e negli occhi quando ritorneremo a varcare quel portone giallo carico, per inoltrarci nelle geometrie antiche dei vicoli napoletani.